Medicina e ricerca

Editing del genoma: guariti da talassemia e anemia falciforme grazie alle “forbici” molecolari

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Guariti grazie alle “forbici” molecolari in grado di correggere i difetti del DNA. Sono i pazienti con talassemia e anemia falciforme coinvolti in due studi internazionali, pubblicati ora sullo stesso fascicolo della rivista New England Journal of Medicine, che hanno visto l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù tra i centri di ricerca protagonisti della sperimentazione, basata sulla tecnica di editing genetico nota con il nome di CRISPR-Cas9. Il 91% dei pazienti talassemici – documentano gli studi – ha raggiunto l’indipendenza dalle trasfusioni periodiche, che per i soggetti con affetti da questa malattia sono necessarie per mantenere adeguati i valori di emoglobina nel sangue. Il 97% dei pazienti con anemia falciforme è divenuto invece libero dalle crisi vaso-occlusive, che possono provocare complicanze gravi e fortemente invalidanti. Per il prof. Franco Locatelli, che ha coordinato in particolare la sperimentazione sulla talassemia, si tratta di «una pietra miliare nella storia del trattamento di queste patologie»

L’editing del genoma

L’editing del genoma con il sistema CRISPR-Cas9 è una tecnologia innovativa che valse il Nobel per la Chimica nel 2020 alle scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna. Funziona come un “correttore” del DNA ad altissima precisione. Il metodo si basa sull’impiego della proteina Cas9, una sorta di forbice molecolare che viene programmata per tagliare o modificare specifiche sequenze del DNA di una cellula, potendo così portare – potenzialmente – alla correzione di varie malattie. CRISPR-Cas9 è un complesso di molecole biologiche formato da frammenti di RNA (acido ribonucleico) e da proteine: il segmento di RNA è la bussola che indica il bersaglio da colpire, la proteina Cas9 esegue il taglio o la modifica. Le cellule prelevate dalla persona malata vengono “corrette” in laboratorio con questo approccio, poi vengono infuse nell’organismo dove si riproducono al posto di quelle difettose.

Talassemia e anemia falciforme

La talassemia e l’anemia falciforme sono le due malattie ereditarie del sangue più frequenti al mondo. In Italia si contano 7000 pazienti talassemici, che dipendono regolarmente da trasfusioni, mentre i pazienti falcemici si stima che siano circa mille, a fronte di 300.000 nuovi nati nel mondo ogni anno. 100.000 i falcemici che vivono negli Stati Uniti d’America, ma il 75% dei bambini con questa patologia nasce nell’Africa Subsahariana. A differenza dei falcemici che nascono nei paesi economicamente più avanzati, con una prospettiva di vita intorno ai 50 anni, la loro probabilità di sopravvivenza difficilmente va oltre i 20-25 anni, per le complicanze legate alla loro condizione.

Entrambe le patologie sono causate dalle mutazioni dei geni coinvolti nella sintesi delle catene dell’emoglobina, la proteina dei globuli rossi che trasporta ossigeno nell’organismo. Normalmente, nei soggetti adulti, ogni molecola di emoglobina è formata da 4 catene proteiche: 2 catene alfa e 2 catene beta. Nelle forme più gravi di talassemia il problema è l’assenza o la marcatamente ridotta produzione di catene beta, che rende inadeguati i livelli di emoglobina nel sangue tanto da dover ricorrere regolarmente a trasfusioni in media ogni tre settimane e assumere tutti i giorni un farmaco in grado di eliminare il ferro che altrimenti si accumulerebbe. Nonostante vi sia stato nel tempo un indiscutibile miglioramento nelle prospettive di sopravvivenza di questi pazienti, di fatto essa rimane ancora oggi di 20-25 anni inferiore rispetto a quella della popolazione sana. Con in più lo sviluppo, spesso, di complicanze legate al sovraccarico di ferro, che possono essere di tipo endocrinologico (diabete, ipotiroidismo o ridotta fertilità), cardiologico o epatologico (fibrosi e addirittura cirrosi).

Nell’anemia falciforme, invece, non è la quantità ma l’alterazione della struttura delle catene beta che porta alla formazione di globuli rossi anomali, a falce, che ostacolano flusso sanguigno e ossigenazione nei capillari provocando crisi vaso-occlusive che possono determinare eventi celebro-vascolari acuti, ipertensione polmonare, patologie renali o quadri di ridotta funzione della milza. Anche in questo campo i progressi della terapia medica sono stati importanti. Ma pure a fronte di questi miglioramenti, difficilmente la prospettiva di vita dei soggetti falcemici supera i 50-55 anni con complicanze, per alcuni di loro, fortemente invalidanti che si sviluppano anche in età relativamente giovane.

Le forbici molecolari sul gene BCL11A

Le due sperimentazioni internazionali, promosse da Vertex Pharmaceuticals e Crispr Therapeutics, si basano sull’osservazione di un gene, che si chiama BCL11A, che svolge un ruolo fondamentale nella produzione di emoglobina nel sangue al termine della vita fetale. Quella presente nel feto, infatti, è un tipo di emoglobina diversa (chiamata appunto emoglobina fetale), formata non da catene alfa-beta, ma da catene alfa-gamma. Questa specifica molecola di emoglobina viene progressivamente sostituita a partire dalla nascita, quando si attiva un meccanismo, guidato dal gene BCL11A, che blocca la sintesi delle catene gamma con la produzione, al loro posto, delle catene beta, responsabili della malattia nei pazienti con talassemia e anemia falciforme.

Il trattamento sperimentato nei due trial internazionali si basa proprio sul ripristino della sintesi dell’emoglobina fetale tramite l’editing del genoma. Le cellule staminali emopoietiche dei pazienti, prelevate tramite aferesi e selezionate, vengono modificate in appositi laboratori con il sistema CRISPR-Cas9 programmato per “spegnere” il gene BCL11A e far ripartire la produzione di emoglobina fetale alfa-gamma, con i benefici attesi. Dopo questa manipolazione genetica, le cellule modificate vengono infuse nei pazienti che nel frattempo sono stati sottoposti a una terapia farmacologica per “distruggere” il midollo, in modo da fare spazio alle nuove cellule staminali ingegnerizzate che si moltiplicheranno correggendo la malattia.

Sul NEJM nel 2021 erano stati pubblicati i casi di un paziente talassemico e di un paziente falcemico trattati con questo approccio, come dimostrazione “di principio” dell’efficacia della terapia. Già allora l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù era coinvolto nella sperimentazione, che è poi proseguita con lo sviluppo dei due studi multicentrici chiamati CLIMB-111 e CLIMB-121, entrambi pubblicati oggi, dove sono stati arruolati numerosi pazienti di età compresa tra i 12 e i 35 anni trattati con questo approccio. Per il primo studio, dedicato ai pazienti con talassemia, l’Ospedale pediatrico della Santa Sede è stato il centro di coordinamento internazionale, con il prof. Franco Locatelli prima firma, avendo coordinato lo studio e reclutato il maggior numero di pazienti. Per il secondo studio, dedicato ai pazienti con anemia falciforme, patologia che impatta soprattutto sui soggetti di colore, il Bambino Gesù è stato il secondo centro internazionale per arruolamento di pazienti, nonostante la partecipazione di numerosi centri statunitensi.

I risultati degli studi CLIMB-111 E CLIMB-121
Lo studio CLIMB-111 ha coinvolto a livello internazionale 52 pazienti con talassemia di cui 14 arruolati dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. 35 pazienti avevano un follow up di 16 mesi, considerato sufficiente per valutare l’efficacia dell’approccio al momento della presentazione dei risultati. 32 su 35 avevano ottenuto la completa indipendenza trasfusionale, pari a una percentuale di poco superiore al 91%. Se si estendono i tempi del follow up, tutti e 52 i pazienti coinvolti nello studio hanno ottenuto l’indipendenza trasfusionale, definita come un valore di emoglobina maggiore o uguale a 9 grammi per decilitro di sangue per almeno un anno di tempo. Il valore medio di emoglobina registrato nei pazienti è stato infatti pari a 13,1 grammi per decilitro (11.9 grammi di emoglobina fetale). Sono valori persino superiori di quelli osservati nei genitori, che sono portatori del carattere di questa patologia autosomica recessiva (un figlio su quattro eredita la malattia). Valori che persistono nel tempo, perché i livelli di emoglobina registrati non diminuiscono nei pazienti con più lungo follow up (4 anni fa la prima infusione) e anche la presenza delle cellule editate, sia nel sangue periferico che nel midollo, non cambia nel tempo e si mantiene stabile. Il profilo di sicurezza, infine, è del tutto congruente con quello di un trapianto autologo e decisamente migliore rispetto a quello che si associa al trapianto allogenico, che infatti anche prima della messa a punto di questa nuova terapia veniva limitato ai soggetti sino ai 12-14 anni, perché sopra questa fascia di età i rischi del trapianto diventavano troppo elevati.

Nello studio CLIMB-121 sulle anemie a cellule falciformi sono stati inclusi 44 pazienti (7 arruolati dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù) anch’essi tra i 18 e i 35 anni, con età media di 21 anni. In questo caso, l’obiettivo atteso non era l’indipendenza dalle trasfusioni, ma l’assenza di episodi vaso-occlusivi per almeno 12 mesi consecutivi. 30 di questi pazienti avevano un follow up sufficiente per essere valutati. 29 di loro, pari al 97%, sono diventati liberi da crisi vaso-occlusive. Anche in questo caso i livelli di emoglobina di questi pazienti sono decisamente buoni, con una percentuale di emoglobina fetale superiore al 40%. Ed anche in questo caso il beneficio risulta sostenuto nel tempo.

Due nuove sperimentazioni sui minori di 12 anni
Alla luce di questi dati l’editing genetico con CRISPR-Cas9 per il trattamento di talassemia e anemia falciforme si presenta oggi come un’opzione terapeutica che funziona e che può essere offerta teoricamente ad ogni paziente, perché non è condizionata dalla necessità di avere un donatore compatibile (ogni paziente serve da donatore di sé stesso). La terapia è stata approvata dalla Food and Drug Administration e dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) per i pazienti di età superiore ai 12 anni. Per i pazienti di età inferiore ai 12 anni sono in corso due nuove sperimentazioni all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, che ha già trattato due bambini talassemici e due bambini falcemici con risultati incoraggianti, a conferma dell’efficacia della terapia indipendentemente dall’età del soggetto.

Locatelli: “Una pietra miliare”
Per il prof. Franco Locatelli, responsabile dell’area clinica e di ricerca di Oncoematologia, Terapia Cellulare, Terapie Geniche e Trapianto Emopoietico del Bambino Gesù di Roma: «La pubblicazione congiunta dei due studi su una rivista come il New England Journal of Medicine rappresenta una sorta di pietra miliare per quello che è il cambiamento di scenario terapeutico e il potenziale definitivamente curativo di queste due patologie così diffuse nel mondo. Un risultato che dimostra una volta di più la capacità e la determinazione dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù nell’investire in terapie innovative in grado di cambiare la storia naturale di malattie così complesse. Questi studi testimoniano come l’Ospedale presti attenzione a tutto quello che può cambiare la probabilità di sopravvivenza e la qualità di vita dei malati affetti da malattie genetiche».


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