Aziende e Regioni

Libro bianco Fiaso: le buone pratiche sanitarie sono sempre più attente all'assistenza a domicilio

Mentre le politiche di welfare sembrano sempre più orientate verso il "mettere soldi in tasca" per assistere chi è più fragile, la Asl 4 di Prato dimostra quanto sia molto più produttivo offrire servizi alle persone. E così, con soli mille euro ad anziano, riesce a garantire l'assistenza domiciliare agli ultra sessantacinquenni soli e non autosufficienti, formando anche le badanti e abbattendo le più costose giornate di ricovero.

A Trento invece si è puntato sul sapere degli utenti dei servizi di salute mentale e dei loro familiari, che con l'esperienza favoriscono il rapporto dei pazienti con gli operatori, migliorando l'adesione alle terapie; fatto tutt'altro che frequente nel campo del disagio psichico e mentale.

Poi c'è chi, come a Bologna, ha creato una banca del latte materno per il nutrimento sicuro dei nati prematuri. O l'Ospedale S.Maria Nuova di Reggio Emilia, che dotando i ricoverati di semplice braccialetto con codice a barre è riuscito ad abbattere gli errori in corsia, soprattutto nella somministrazione di farmaci. Il polo ospedaliero del Santo Spirito a Roma si è calato invece nella realtà multietnica di oggi e ha trovato il modo di garantire l'assistenza religiosa alle persone di altri credi. Tutto questo mentre si diffondo le esperienze dei Pdta, i Percorsi diagnostici, terapeutici ed assistenziali, che per le principali patologie individuano gli accertamenti e le cure più appropriate per i pazienti. Un modo per migliorare gli standard di assistenza eliminando al contempo gli sprechi.

E' una sanità in movimento verso il miglioramento della qualità con un occhio sempre più attento ai costi quella che emerge dalla seconda raccolta di esperienze aziendali del "Libro bianco della buonasanità", presentato questa mattina a Roma e che raccoglie 75 esperienze selezionate dal comitato scientifico (composto da esperti delle istituzioni, del mondo accademico e delle rappresentanze dei cittadini) dell'Osservatorio Fiaso (la Federazione di Asl e Ospedali) sulle buone pratiche sanitarie. Una pubblicazione realizzata grazie anche alla collaborazione della redazione dell'agenzia giornalistica Ansa e al contributo della Glaxo Smith Kline che ha creduto nell'intera operazione.

Al Libro bianco, infatti, si affianca la messa in rete di oltre 200 buone pratiche selezionate dall'Osservatorio Fiaso e accuratamente classificate in modo da renderle facilmente consultabili e quindi più facilmente esportabili su tutto il territorio nazionale.

«Il Libro bianco della Buonasanità – sottolinea il Presidente di Fiaso, Valerio Fabio Alberti - è il contributo che come aziende offriamo in tempi di crisi al Paese, per dimostrare con i fatti che è ancora possibile coniugare buona qualità dei servizi e sostenibilità economica».

Lo dimostra il fatto che la maggior parte delle esperienze selezionate dall'Osservatorio Fiaso sulla "buonasanità" ha riguardato l'integrazione socio-sanitaria e la presa in carico delle malattie croniche (27%), tema sempre più strategico per aziende ed assistiti. Mentre al secondo posto ci sono le modalità organizzative, gestionali, formative e valutative che connotano la politiche del personale (25%). Seguono le buone pratiche tese a migliorare le strategie e gli strumenti correlati alle performance clinico-assistenziali e gestionali (24%), il rapporto medico-paziente (19% delle esperienze), i mutamenti nel ruolo e nelle funzioni dell'operatore infermieristico nei servizi ospedalieri e territoriali (5%). In tutto sono state coinvolte 37 aziende, il 23% in più circa rispetto allo scorso anno. E' importante rimarcare anche che in oltre il 70% dei casi le esperienze sono state adottate in forma stabile dalle aziende.

La parte del leone la fa ancora l'Emilia Romagna, con 25 buone pratiche, seguita dalle Marche, con 12 ma nel complesso si assiste ad una rimonta del Sud, dove si collocano il 18,7% delle esperienze, due anni fa localizzate quasi esclusivamente al Nord. Anche se nel settentrione sono state selezionate il 56% delle esperienze e nel centro poco più del 25%. Al Sud la piccola Basilicata, con 4 best practice è seconda solo alla Sicilia (5 esperienze) tra le Regioni del Sud e delle Isole.

Rispetto alla presa in carico dell'assistito e all'integrazione socio-sanitaria, le numerose esperienze segnalate da Fiaso mostrano come sia oramai una realtà sempre più diffusa quella della continuità assistenziale, ossia dei servizi capaci di prendersi cura del paziente dal momento del suo ricovero fino al post dimissioni, attraverso équipe multidisciplinari di professionisti sanitari che agiscono anche a domicilio. E sempre più numerose sono le iniziative per migliorare il rapporto medico-paziente. Che significa consenso alle cure e quindi minor contenzioso sanitario, all'origine di quella medicina difensiva che ci espone a rischi inutili e provoca almeno 10 miliardi di sprechi l'anno.

La buonasanità passa per l'autonomia delle aziende
«Le esperienze e i progetti innovativi realizzati in questi anni dimostrano come sia possibile fare buonasanità anche in tempi di crisi» sottolinea il Presidente di Fiaso, Valerio Fabio Alberti. «Risultati – ha proseguito - che sarebbe stato impossibile conseguire senza un management all'altezza e la dedizione del personale sanitario. Spesso costretto a lavorare in condizioni non agevoli ma sul quale è fondamentale puntare anche in futuro attraverso forme che incentivino meglio merito e professionalità».
«Al di là dei campanilismi – sottolinea a sua volta Giampiero Maruggi, vice pesidente Fiaso e coordinatore dell'Osservatorio - la raccolta selezionata dimostra che è possibile fare buonasanità anche al Sud perché la discriminante non è geografica ma gestionale. Senza dimenticare – ha aggiunto - come ciò avvenga mentre le mai sopite tendenze centralistiche trovano nelle esigenze di bilancio l'occasione per riprendere slancio, mortificando quell'autonomia di gestione senza la quale un'Azienda non può essere tale».

Ecco alcune best practice dal libro bianco Fiaso

Over 65: a Prato l'assistenza è a domicilio
Creare un percorso di assistenza domiciliare intensiva per anziani soli e non autosufficienti dopo le dimissioni ospedaliere, che permetta al paziente di rimanere nel proprio ambiente di vita e di ricevere l'assistenza quotidiana di un fisioterapista, un infermiere o di un operatore sociosanitario. Ma con il supporto ancora più costante di un familiare o della badante, appositamente formati per fornire assistenza di prima necessità. E' l'esperienza della Usl 4 di Prato che ha così favorito il rientro a casa del paziente senza transitare da un inappropriato e oneroso ricovero in Rsa. Il progetto, dal titolo evocativo, "Dopo l'ospedale meglio a casa", costato circa 260mila euro l'anno in larga parte finanziati dai fondi della Regione Toscana, è stato concepito inizialmente come una sperimentazione della durata di 12 mesi, ma visti i risultati soddisfacenti ha ottenuto dopo il primo anno un ampliamento del progetto per ulteriori 12 mesi, con l'intento di prendere in carico circa 260 utenti/anno. Quindi mille euro ad anziano assistito. Quando si dice che offrire servizi alla persona è molto più conveniente che mettere qualche soldo in tasca in più a chi ne ha bisogno. Il servizio, garantito da una équipe multiprofessionale in cui sono presenti un infermiere, un assistente sociale e un fisioterapista, coinvolti a vario titolo nella programmazione progettuale, prevede la prima visita domiciliare entro 24/48 ore dalla dimissione e definisce un piano educativo specifico per paziente e caregiver, finalizzato a supportare l'autogestione della condizione di disabilità. L'équipe garantisce in particolare un follow up telefonico o domiciliare settimanale, fino al termine del programma.

Salute mentale: Trento punta sul sapere di utenti e familiari
La sigla magica che ha riavvicinato a Trento servizi di salute mentale, utenti e loro familiari è UFE. Niente di extraterrestre ma un progetto quanto mai attaccato alla terra di Utenti e Familiari Esperti, nato con l'obiettivo di valorizzare il sapere esperienziale di utenti e familiari e di aumentare la loro partecipazione attiva nelle pratiche quotidiane. L'esperienza degli UFE si prefigge di migliorare la gestione di problemi tradizionalmente comuni nel mondo della salute mentale, come quelli riguardanti l'adesione ai trattamenti, alla soddisfazione e al ruolo delle parti interessate nella governance del sistema, coinvolgendo tutte le parti in causa, dai gruppi di auto-mutuo-aiuto per utenti e familiari ai gruppi di sensibilizzazione fino alla creazione di una Casa dell'auto-aiuto (struttura residenziale con 14 posti letto che vive 24 ore al giorno le pratiche della mutualità). Partendo da questa base operativa si è andata sviluppando nel tempo la figura dell'Utente Familiare Esperto. Dal 2005 ad oggi la figura degli UFE si è diffusa in tutte le aree del Servizio di Salute mentale, e ad oggi gli UFE coinvolti sono circa 40, con diverse mansioni: alcuni operano nel Centro di salute mentale o nel Reparto ospedaliero, altri svolgono funzioni di sensibilizzazione, nelle scuole come nelle comunità, o si tengono in stretto contatto con le famiglie. La presenza degli UFE, caratterizzata da una sorta di percorso di cambiamento partecipato, gestito dal ‘basso verso l'alto', ha favorito un miglioramento dei rapporti tra utenti, familiari e operatori, con importanti ricadute sul clima generale.

Bologna, una banca del latte per il nutrimento sicuro dei prematuri
Assicurare latte umano sicuro ai neonati prematuri: è l'obiettivo primario di un progetto avviato all'azienda Policlinico Sant'Orsola e all'ospedale Maggiore di Bologna con una Banca del latte umano donato (BLUD) in collaborazione con l'azienda Granarolo.
L'iniziativa ha fatto sì che da febbraio 2013 tutti i neonati con peso inferiore a 1.500 grammi ricoverati nelle Unità di Terapie intensive neonatali (UTIN) dei due ospedali bolognesi – in media circa 110 all'anno complessivamente – ricevono esclusivamente latte umano, della propria madre o proveniente dalla BLUD. Così è stato eliminato l'utilizzo di latte artificiale per i prematuri con un potenziale miglioramento di importanti indicatori clinici. L'utilizzo del latte umano, spiega l'AOU di Bologna promotrice del progetto, rappresenta un vantaggio per il neonato prematuro in quanto riduce il rischio di complicanze come l'enterocolite necrotizzante e la sepsi. In più accelera i tempi di raggiungimento dell'alimentazione enterale esclusiva. In assenza del latte della propria madre è utile l'utilizzo di latte donato da altre neomamme, ma questo non può avvenire senza l'attivazione di una Banca del Latte che lo renda sempre fruibile e soprattutto sicuro grazie al rispetto di procedure rigorose.

Roma, l'accoglienza in ospedale diventa multireligiosa
Con una società sempre più multietnica, anche in ospedale c'è bisogno di personale adeguatamente formato al dialogo interreligioso. Per questo la Asl Roma E ha creato il "Laboratorio per l'accoglienza delle differenze e specificità culturali e religiose".
Il progetto nasce da un monitoraggio del programma regionale di Audit civico Lazio del 2010, che ha rilevato il mancato rispetto del diritto dei ricoverati di potersi avvalere di un'assistenza religiosa per non cattolici. Senza contare che gli operatori sanitari devono spesso confrontarsi con valori e aspetti etici legati a culture e religioni differenti. Per questo nel 2010 la Asl ha avviato un progetto per fornire a tutti le stesse fonti di sostegno relazionale, comprensione culturale, appoggio umano, spirituale e religioso.
L'iniziativa si è concretizzata inizialmente nella costituzione presso la ASL Roma E del "Laboratorio per l'Accoglienza delle differenze e specificità culturali e religiose" - attivo da aprile 2010 -, composto da referenti aziendali, referenti delle principali confessioni e comunità religiose rappresentate nella capitale, rappresentanti delle associazioni civiche, di tutela e di volontariato, con il compito di monitorare e proporre azioni di miglioramento per l'accoglienza multiculturale in ospedale. In secondo luogo, è stato messo a punto un protocollo per l'accoglienza interreligiosa e multiculturale raccolto nelle "Raccomandazioni per gli operatori sanitari da parte delle comunità religiose". In seguito è stato istituito un albo di assistenti e interlocutori religiosi accreditati presso la direzione sanitaria e presso tutte le strutture di degenza del polo ospedaliero romano di Santo Spirito, a disposizione dei pazienti ricoverati.

Ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia: per l'identificazione sicura del paziente arriva il braccialetto in ospedale
Un braccialetto con un codice a barre per identificare con sicurezza ogni paziente ricoverato in ospedale. È il metodo adottato dall'azienda ospedaliera Santa Maria Nuova di Reggio Emilia per ridurre errori ed incidenti in corsia.
A febbraio 2010 l'azienda ha introdotto in via sperimentale in alcuni reparti una nuova procedura di identificazione del paziente: all'atto del ricovero l'operatore sanitario ne effettua il riconoscimento attraverso la lettura del codice fiscale e successivamente stampa su un braccialetto identificativo autoadesivo l'anagrafica dell'utente associandovi un ‘barcode', un codice a barre. Il braccialetto viene applicato al polso del paziente ed è abbinato al programma di gestione informatizzata della terapia che prevede l'identificazione del paziente attraverso la lettura del codice prima di somministrare il farmaco. Da una indagine interna è emerso che per la totalità degli operatori lo strumento ha contribuito a migliorare l'identificazione del paziente, per il 93% il braccialetto è stato utile soprattutto se i pazienti non erano vigili o erano disorientati, per il 58% ha rappresentato un presidio per migliorare l'identificazione al momento della somministrazione della terapia. Percentuale, quest'ultima, che sale al 70% fra gli operatori di medicina interna che già utilizzavano il software per la prescrizione e somministrazione informatizzata del farmaco. Nel reparto chirurgico per l'82% degli operatori il braccialetto è stato utile per migliorare l'identificazione nel trasferimento in sala operatoria. Il 60% ha riportato che il braccialetto ha evitato errori di identificazione.