Imprese e Mercato

Meridiano sanità: vincoli e incertezze dell'industria farmaceutica, asset strategico per la ripresa del Paese

di Roberto Turno (da Il Sole-24 Ore)

Menarini che ha appena inaugurato la sede cinese, Recordati che fa shopping in Tunisia. I campioni del farmaco made in Italy guardano sempre più oltre confine. Perché il mercato mondiale del pharma lo impone. Ma non solo per quello.

La verità è che i vincoli che il nostro Paese impone a chi vuol fare impresa in un settore vitale e decisivo per la crescita, diventano sempre più una camicia di forza anche per le big major del farmaco che vorrebbero investire da noi. E così si sprecano anche le ultime chance di rilancio. Fallendo un'occasione preziosa, perché «l'industria farmaceutica può e deve rappresentare un asset strategico per la ripresa della crescita e lo sviluppo del sistema-Paese».

È con queste parole, quasi un ultimo appello pro industria farmaceutica, che si conclude il capitolo dedicato all'industria del farmaco operante in Italia del «Rapporto Meridiano sanità» che sarà presentato martedì a Roma. Un excursus di successi e di primati di un settore industriale che va ancora quasi in contro tendenza nella tempesta perfetta della crisi finanziaria ed economica internazionale e di quella italiana con le sue pesanti peculiarità. Ma anche un viaggio, quello del rapporto di «Meridiano», che descrive tutte le incertezze e i vincoli che pesano come un macigno sulla "voglia di fare impresa" nel settore farmaceutico in Italia.

Quel che risalta nell'approccio italiano al settore, è la sostanziale miopia politica e legislativa che dura ormai da tempo. Quasi una schizofrenia fatta di non-decisioni o di scelte al ribasso per lo sviluppo del Paese.

Da un lato, infatti, tutte le statistiche – le ultime quelle di Bankitalia e dell'Istat – elencano numeri da primato per il pharma: l'export che veleggia al top del manifatturiero con 15,3 miliardi (+11,8% medio l'anno in vent'anni contro il 5,6% del manifatturiero), un valore aggiunto per addetto 2,7 volte superiore al manifatturiero e il triplo del valore nazionale. E ancora: il grado degli investimenti in produzione e R&S che per le società a capitale estero ha toccato quota 829 mln, ancora una volta al top, seguita a distanza da mezzi di trasporto, meccanica e chimica.

Numeri da record, appunto. Che però si scontrano con l'amara realtà del contesto italiano. Quello complessivo: il peso del fisco (ultimi in nell'Ue a 15), i costi della logistica (quart'ultimi) e dell'energia (ultimi). Per non dire della burocrazia o dei tempi di rimborso da parte dello Stato. Il fatto è che a questi gap le farmaceutiche scontano poi in proprio tetti di spesa, prezzi più bassi (del 40% sulla Germania), calo degli studi clinici, occupati in calo (-11.500 dal 2006). Nel 2012 per la prima volta investimenti in R&S in flessione del 2,5% a quota 2,35 mld, benché al top. Proprio quello che l'Italia, se vuole ri-crescere, non può permettersi