Dibattiti-e-Idee

SPECIALE FEDERALISMO/ Poche luci tra «supremazia» e tagli lineari: alt alle operazioni gattopardesche

di Luca Antonini (ordinario Diritto costituzionale Università di Padova presidente della Copaff)

Il disegno di legge di revisione costituzionale presenta qualche luce e molte ombre. A esempio va senz'altro salutato con favore il superamento dell'anacronistico bicameralismo paritario e perfetto. Tuttavia, su molti altri aspetti la riforma disattende le reali ragioni costituzionali che sostavano all'esigenza di un ripensamento dell'attuale Titolo V: se prima avevamo un federalismo senza Senato delle autonomie, lo scenario prossimo è, paradossalmente, quello di un Senato delle autonomie senza federalismo. Anziché ruotare sul principio di responsabilità, la riforma, infatti, si risolve in una mera, decisa, ricentralizzazione di materie.

Questo, se da un lato rischia di far buttare, con l'acqua sporca, anche il bambino (l'esperienza delle poche, ma effettive realtà regionali virtuose), dall'altro solo parzialmente potrà permettere di superare i limiti della situazione attuale (caratterizzata anche da un divario tra Nord e Sud che ormai non ha più eguali in Europa).

Questi profili si possono apprezzare in modo particolare per quanto riguarda la materia della sanità. Basti pensare alla nuova clausola di supremazia statale, che potrà portare alla ricentralizzazione di tutta la materia dell'organizzazione sanitaria senza alcuna possibilità di differenziazione per le realtà efficienti. Discipline normative statali che probabilmente sono opportune in alcune Regioni inefficienti travolgeranno così anche i modelli virtuosi, come quelli, a esempio, dell'Emilia Romagna, del Veneto o della Lombardia, che hanno caratteristiche organizzative profondamente differenti l'uno dall'altro e proprio su questa differenziazione, calibrata sulle specificità territoriali, hanno costruito la loro efficienza. Un altro aspetto della riforma da considerare con attenzione è poi quello inerente alla revisione dell'art. 119 sull'autonomia finanziaria.

Senz'altro di grande rilievo è stata la decisione (avvenuta però nell'ambito dei lavori del Senato e non nel testo base presentato dal Governo) di costituzionalizzare costi e fabbisogni standard, denominati, per evitare inglesismi nella Costituzione, «indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza».

Tuttavia, viene poi portata nella competenza esclusiva statale la materia "coordinamento della finanza pubblica" (oggi materia concorrente): è un passo indietro notevole, che tradisce le oggettive esigenze di riforma in questo ambito che erano quelle di porre le basi per una maggiore (e non certo inferiore) responsabilizzazione impositiva delle realtà sub statali. Soprattutto occorre considerare che per effetto di questo spostamento si verifica l'effetto perverso di una sostanziale legittimazione dei tagli meramente lineari, dal momento che proprio in base al carattere concorrente della materia «coordinamento della finanza pubblica» la Corte costituzionale era giunta a stabilire limiti a queste prassi e a imporne il carattere transitorio (sentenze 193/2012 e 79/2014).

Con la modifica inserita nel testo costituzionale i giusti princìpi di questa giurisprudenza verranno travolti, determinando una nuova legittimazione dei discutibilissimi tagli lineari (e quindi anche della relativa deresponsabilizzazione dello Stato sui Lea): va considerato che per effetto di questi tagli, tra cui bisogna oggi considerare anche quello da oltre 2 mld della legge di stabilità per il 2015, la qualità del sistema sanitario pubblico si sta rapidamente deteriorando, determinando la fuga dei cittadini (ma solo di quelli che possono permetterselo!) verso il sistema privato a pagamento.

Un altro aspetto da considerare è quello della decisione di eliminare completamente la competenza concorrente, ritenuta la causa principale dell'esplosione del contenzioso costituzionale. Tuttavia, per materie come "tutela della salute", in realtà si attrae nella competenza statale solo la competenza a dettare "norme generali e comuni". Si è quindi in realtà in presenza di un mero restyling costituzionale destinato a esaurirsi in una operazione gattopardesca, dove al cambiamento della nomenclatura del titolo non corrisponderà in sostanza un cambiamento delle prassi legislative e giurisprudenziali: quello che prima veniva inquadrato nell'ambito dei "princìpi fondamentali" verrà con tutta probabilità inquadrato come "norme generali e comuni". Ma il problema in questo ambito, sarà, come visto, la clausola di supremazia statale.

Last but not least occorre precisare che la riforma, con il suo forte impatto di ricentralizzazione, non si applicherà, in forza di una espressa previsione, alle Regioni speciali. Quindi sia la clausola di supremazia, sia tutto il resto non sarà applicabile alle Regioni speciali e quindi nemmeno alla Regione Sicilia, verso la quale l'esonero dai costi standard rappresenta un vero e proprio assurdo istituzionale.