Aziende e regioni

Liste d’attesa/ Aceti: servono automatismi per garantire ai cittadini le prestazioni nei tempi. Poi: risorse alle Regioni solo se centrano i target

di Barbara Gobbi

S
24 Esclusivo per Sanità24

«Davanti al tema liste d’attesa che rappresenta plasticamente le difficoltà del Servizio sanitario nazionale, oltre a nuovi meccanismi di governance sia dal lato della domanda che dell’offerta di prestazioni c’è l’urgenza di garantire ai cittadini, dal giorno dopo l’entrata in vigore delle misure in via di definizione, un cambio di passo immediato e concreto. La proposta che abbiamo fatto al ministro va in questa direzione». Tonino Aceti, presidente di Salutequità, fa parte della Commissione di studio per il governo delle liste d’attesa istituita a gennaio da Orazio Schillaci, proprio per raccogliere input sulla strategia utile a stanare quello che lo stesso titolare di Lungotevere Ripa definisce come la più odiosa tra le falle del Ssn. Perché colpisce al cuore il diritto alla salute, obbligando ben che vada i cittadini a rivolgersi al privato mentre, nella peggiore delle ipotesi, intere fasce di popolazione si impoveriscono per curarsi o restano senza assistenza. Il decreto legge in arrivo nei prossimi giorni, accompagnato dal Piano nazionale liste d’attesa aggiornato, punta dichiaratamente a ‘svoltare’.
Aceti, a suo avviso da cosa bisogna partire?
Oggi nessun Cup o Recup a fronte di un’inadempienza sui tempi previsti nei codici di priorità indicati nella ricetta del medico di famiglia o dello specialista dà in automatico l’autorizzazione all’utente a rivolgersi altrove per ricevere la prestazione. Chiediamo che sia data concretezza, immediata e automatica, a questo principio di legge. Va previsto un automatismo di autorizzazione, contestuale alla telefonata dell’utente, che permetta a tutti i cittadini – a prescindere da competenze, conoscenze e disponibilità economica - di ottenere il riconoscimento del proprio diritto a curarsi. Se la struttura non può erogare la prestazione nei tempi appropriati, al cittadino va reso subito disponibile l’elenco dei canali da individuare, cioè le strutture sul territorio che siano abilitate a erogare la prestazione aggiuntiva. Possono essere centri pubblici, privati accreditati o, anche singoli professionisti con cui la Regione si accordi pagando direttamente la libera professione per queste cure, con una spesa che ricadrebbe nella diretta responsabilità del direttore generale.
Tutti in pista quindi, pur di alleggerire le code?
Oggi abbiamo l’urgenza di affrontare il problema liste d’attesa: serve agire nell’immediato mentre altre misure seguiranno nel medio e nel lungo periodo. Nel ‘breve’ ci sono leve a mio avviso da attivare e potenziare: incluso il meccanismo di acquisto della libera professione intramoenia da parte delle aziende sanitarie e, nel caso in cui l’offerta Ssn sia arrivata a saturarsi, il ricorso al privato accreditato per dare una risposta tempestiva. Va anche sottolineato che alcune realtà non si sono impegnate a fondo: quando la Corte dei conti certifica 152 mln per le liste d’attesa non spesi dalle Regioni, ci dice anche che l’utilizzo del privato accreditato è stato carente e che non si è recuperato quanto si poteva. Davanti alla mole di prestazioni in lista, per me oggi la priorità non sono i canali che il Ssn vorrà individuare ma il diritto alla salute dei cittadini.
C’è sempre, sullo sfondo, il tema delle carenze di personale che è tra gli ostacoli alla piena risposta del Ssn
Certamente nel medio periodo sul fronte del capitale umano andrebbe previsto un programma pluriennale, fatto sia di risorse ad hoc che di modelli professionali e organizzativi capaci di valorizzare le risorse con un investimento anche a 10 anni, tale da assicurare una prosecuzione del nostro servizio pubblico al di là degli interventi spot. Ma intanto, se nel breve periodo non si dispone di un’elasticità nell’organizzazione sanitaria pubblica che permetta di recuperare il sospeso anche per carenze di personale, le Regioni sono comunque chiamate a usare tutti i soldi in cassa. Inoltre il meccanismo che proponiamo responsabilizza l’intera catena di trasmissione: il direttore generale su cui ricade la diretta responsabilità delle scelte e a cascata i direttori di dipartimento e i primari chiamati a efficientare. In definitiva si creerebbe un meccanismo solo inizialmente ‘scomodo’ dal punto di vista del governo della spesa: a medio termine diventerebbe virtuoso, di responsabilizzazione dei singoli attori in gioco. Ciascuno deve fare la sua parte: la norma secondo cui la prestazione va comunque garantita ai cittadini, in campo da anni, non è stata attuata dalle amministrazioni perché di fatto non era previsto alcun loro obbligo di garantirne l’attuazione. Solo un automatismo può garantire la certezza del diritto mentre oggi gli utenti si sentono persi. E allora vanno anche orientati.
In che modo?
La seconda richiesta che abbiamo presentato al ministro è l’istituzione di un organismo nazionale pubblico deputato sia a svolgere il ruolo di ‘contact center’ per il pubblico, a cui dare informazioni su diritti e doveri dei cittadini, sia a segnalare alle amministrazioni le eventuali inadempienze. Con il potere di chiedere il superamento dell’impasse. Al cittadino serve una ‘sponda’ ufficiale che gli consenta di superare la barriera liste d’attesa: un Paese civile non può non garantire l’esigibilità nei tempi opportuni del diritto alla salute.
Al di là delle stime di associazioni e società scientifiche sui tempi monstre, nessuno sa con precisione le dimensioni del fenomeno…
Per questo andrebbe finalmente messo in campo, a monte, un flusso informativo del Servizio sanitario nazionale che sia un ‘libro aperto’ per il sistema centrale. Inviare informazioni ampie ed esaustive deve diventare un adempimento Lea per le Regioni e quindi vincolante per tutte. Questo flusso poi dovrebbe essere utilizzato da un soggetto pubblico che ogni giorno controlli e possa intervenire sui tempi d’attesa in tutto il territorio nazionale.
Chi potrebbe svolgere questa funzione?
Agenas, ad esempio, ha una vocazione per la misurazione. In ogni caso serve un ente che valorizzi il flusso informativo completo di tutte le prestazioni e monitori costantemente i tempi d’attesa, capitalizzando le informazioni in un’ottica di intervento capace di rimuovere gli ostacoli. Che possono essere di vario tipo: dalla inefficienza organizzativa a un problema di risorse alla inefficiente gestione economica. In sintesi, va attivato un flusso continuo, sul modello di quello che fu pensato con successo per il Covid, che produca dati e quei dati vanno sistematizzati e certificati così da intervenire per superare le criticità. Oggi tutto questo non esiste: basti pensare che nel Nuovo Sistema di garanzia dei Lea compare solo un indicatore ‘core’ relativo alle liste d’attesa, del tutto inadeguato perché relativo al codice di priorità D cioè ‘differibile’, e calcolato in modo inappropriato perché riferito a pochissime prestazioni, all’interno di settimane indice. Da qui la nostra richiesta di rafforzare il Nuovo Sistema di garanzia con indicatori aggiuntivi sulle liste d’attesa e soprattutto con una modalità di calcolo più robusta rispetto all’attuale.
Liste d’attesa lunghe ma fondi in parte non spesi: come se ne esce?
Come noto la Corte dei conti ha certificato in oltre 150 milioni le risorse per le liste d’attesa non spese. Abbiamo chiesto al ministro di rivedere le modalità di erogazione dei fondi alle Regioni: basta con il dare soldi a prescindere dal raggiungimento dell’obiettivo di recupero o di abbattimento delle liste. In vista del nuovo Piano sanitario nazionale annunciato da Schillaci, chiediamo che una quota delle risorse vincolate per gli obiettivi di Piano sia strutturalmente destinata, anno per anno, alla riduzione dei tempi. La percentuale di erogazione dei fondi andrà agganciata alla corrispondente percentuale di raggiungimento dell’obiettivo ‘abbattimento liste d’attesa’. Se il target non sarà centrato, quei soldi diventeranno indisponibili per la Regione in sede di riparto così da evitare che siano allocati altrove. È una proposta in linea con quanto chiesto dalla Ragioneria generale dello Stato al ministro sui nuovi Lea: che i soldi dati annualmente alle Regioni per l’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza ma non sono usati escano dalla disponibilità già in sede di riparto 2024. Serve un meccanismo di responsabilizzazione. Negli anni è stata data fiducia alle Regioni ma se il risultato sono oltre 150 milioni non spesi, allora c’è un problema.


© RIPRODUZIONE RISERVATA