Aziende e regioni

Lazio: strapotere della politica, carenza di strategie e autoreferenzialità dei manager: ecco il «rapporto-accusa» dell'ex subcommissario Giorgi

Se ci fosse una ulteriore stretta economica sulla sanità (ventilata sul finire del 2013) il Lazio rischierebbe di non riuscire a pagare gli stipendi. Intanto però corruzione, diseconomie e inefficienze divorano almeno un miliardo l'anno e impediscono un rientro dal debito più veloce e gli «indispensabili» investimenti in tecnologie, personale e strutture «per la modernizzazione del sistema produttivo pubblico in stato di forte obsolescenza».

Va diretto al punto Gianni Giorgi, ex sub commissario per il piano di rientro del Lazio (sostituto assieme all'altro subcommissario Giuseppe Antonino Spata da Renato Botti, nominato dal Consiglio dei ministri del 17 dicembre 2013, stessa data scritta sul rapporto), che come ultimo atto del suo mandato ha messo a punto a dicembre 2013 un "rapporto di gestione" sul piano di rientro e sulla gestione commissariale. Sul rapporto - anticipato nei contenuti essenziali a fine 2013, ma mai pubblicato integralmente - il Tavolo di monitoraggio ha annunciato un esame approfondito nella prossima riunione.

«Il mix produttivo privato-pubblico laziale dei servizi sanitari e sociali - scrive Giorgi - è disequilibrato (la riabilitazione, ad esempio, è completamente in mano a erogatori privati) e basato sulle debolezze e le forti inefficienze dei servizi pubblici e dell'apparato politico-tecnico regionale».

E intanto ai conti ci pensano tasse (le super-aliquote Irap e Ipef hanno coperto interamente il debito programmato), blocco del turn over («che ha portato alla decimazione di non pochi servizi pubblici») e cittadini: «nel 2012 l'83% dei laziali ha pagato di tasca propria spese per prestazioni specialistiche ambulatoriali». Mentre l'organizzazione si caratterizza per tempi di attesa eccessivi, degenza media pre-operatoria superiore alla media nazionale ed esiti ospedaliericon forti criticità».

La Regione inoltre «ha utilizzato per cassa circa 4,3 miliardi di fondi sanitari (spettanze regionali) per pagare debiti maturati in altri settori dell'amministrazione regionale e 327 sono i giorni di ritardo del pagamento segnalati dai fornitori di elettromedicali».

Le quattro criticità
Il rapporto non fa sconti e in quattro punti Giorgi indica i principali elementi critici che «spiegano la negativa performance del Ssr»:

1) starpotere delle logiche politiche e clientelari su quelle tecniche e manageriali e anomala configurazione della struttura commissariale. Questo con avvicendamenti frequenti, con durate anche molto brevi, degli attori politici e commissariali e dei relativi apparati regionali e aziendali, scarse capacità propositive e attuative delle decisioni programmatiche da parte del management regionale e aziendale, contenzioso come metodo per affrontare e risolvere nell'interesse del ricorrente i problemi, tenuta della contabilità e trasparenza della gestione inadeguate;

2) carenza di strategie e di regole organiche di sistema e sistemi di informativi e di controllo parcellizzati e poco affidabili. E poi ritardi o assenza di programmazione e in generale mancato coordinamento tra programmazione, accreditamento, budget, controlli di appropriatezza delle prestazioni, anticipi e saldi finanziari agli erogatori privati;

3) dimensionamento dei servizi ospedalieri pubblici e privati non rispondenti agli standard e mancata intergazione con i servizi sociosanitari terriotriali spesso inadeguati con allocazioni e organizzazione del personale pubblico irrazionali, strutturazione inesistente delle filiere assistenziali e delle reti cliniche;

4) autoreferenzialità delle direzioni generali e organizzazione del servizio tarata sulle esisgenze di medici e operatori sanitari e non dei pazienti con produttività delle aziende sanitarie pubbliche e in particolare degli ospedali molto al di sotto della media nazionale, valore della produzione ospedaliera diminuita negli anni in misura maggiore del contenimento dei relativi costi, specialistica ambulatoriale lasciata prevalentemente al cosiddetto libero mercato, casi frequenti di sciatteria o, peggio, di malasanità e di mala gestione all'onore delle cronache cittadine e nazionali.

Le strategie rigenerative
Giorgi nel rapporto spiega che per uscire dagli attuali "disavanzi strutturali" e assicurare la sostenibilità del Ssr «serve un salto di qualità della strategia regionale di intervento diretta a innovare profondamente la governance regionale e superare la logica dei Piani di Rientro/Programmi Operativi impostati come adempimenti e non come insieme di piani industriali di ristrutturazione aziendale; focalizzare l'attenzione su priorità e risultati, riorganizzare l'assetto aziendale di governo della domanda e dell'offerta sanitaria e responsabilizzare operatori, pubblici e privati, management e professionisti sanitari».

Per questo serve una «effettiva e profonda» revisione prganizzativa basata sulla «manutenzione continua e sistematica» della linea di responsabilità tecbica regionale-aziendale. Obiettivo, spiega il rapporto, «un programma straordinario di risk management per la gestione sistematica dei rischi da eventi avversi, sanitari e di legalità, con conseguente sospensione/rimozione dei direttori aziendali in caso di episodi di "mala gestione" e di "malasanità"; il ridisegno del sistema aziendale in funzione del governo della domanda e dell'offerta sanitaria, delle reti dei servizi territoriali e ospedalieri e la separazione tra politica e gestione dei servizi sanitari; l'affermazione esemplare del criterio meritocratico quale regola per l'assegnazione degli incarichi, per la valorizzazione degli operatori e del management del SSR, per la riallocazione delle risorse; l'innovazione dei servizi, l'integrazione sanitaria e socio-sanitaria, e la relativa ripresa degli investimenti mirati a produrre risparmi nella gestione (vedasi in primis Ict) oltre che la qualificazione del servizio pubblico e il contenimento dell'attuale irrazionale livello di obsolescenza tecnologica delle strutture pubbliche».

I nodi della gestione commissariale
Il rapporto indica un «prevalere nei ministeri del ruolo di "controllori" rispetto a quello di "esperti" a supporto di un effettivo rientro, così come prevale nel presidente la naturale scelta politica di fare il presidente della Regione, attento soprattutto al consenso politico che può dare/non dare la sanità, e subordinatamente il commissario, ruolo sostanzialmente tecnico in quanto rispondente all'obbiettivo "rientro" da ottenere con la revisione del complesso sistema sanitario».

«Questa doppia veste - sostiene Giorgi nel rapporto - è sicuramente fonte di evidenti ambiguità, inefficacia del commissariamento e causa della sua attuale lunga durata, oltre che di conflitto di interesse. Le esperienze di figure commissariali solo tecniche fatte nel Lazio, poi, causa della brevità dell'incarico, della mancanza di effettivi poteri sull'apparato regionale e aziendale, della mancanza di un mandato forte (dispositivo decisionale), non hanno marcato l'avvio senza ritorno dell'effettivo rientro».

Inoltre «il commissariamento organizzato su un commissario "politico" e uno o più sub-commissari, effettivamente " tecnici", introduce ulteriori dinamiche di poteri e di responsabilità che richiedono una più chiara disciplina delle deleghe e della funzione cosiddetta di "affiancamento" del sub-commissario che, proprio perché tecnico, dovrebbe poter esercitare fino in fondo e con le adeguate risorse quel ruolo difficile e impopolare di "ristrutturatore di servizi pubblici". Cioè quello di "fare di più con meno", che, come è stato verificato soprattutto in alcune esperienze straniere, è fattibile razionalizzando e innovando i servizi pubblici e i relativi processi di produzione».

Concludendo, secondo Giorgi «la complessità dell'apparato regionale, burocratico e non storicamente meritocratico, e l'insieme articolato delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, dei Policlinici, degli enti regionali (Ares, Ambiente, Lait, …), con le loro variopinte filiere di riferimento politico, è difficilmente governabile secondo una logica produttiva e di servizio da una struttura commissariale, composta da commissario politico e sub-commissari tecnici, che seppure tutti di nomina del Consiglio dei ministri si trovano, il primo, a rispondere a logiche politiche di consenso e i secondi alle direttive ministeriali e alle logiche tecniche del management e del funzionamento del servizio pubblico».

La ricetta che vale per tutti
Nelle sue conclusioni Giorgi alza il tiro e al di là della situazione specifica del Lazio sottolinea che la numerosità delle Regioni in disavanzo e di quelle in Piano di rientro, la persistenza di situazioni di disavanzo strutturale evidenziano «non un'anomalia del funzionamento del Ssn, ma un malessere profondo, una crisi di governance del Federalismo emerso dalla riforma costituzionale del 2001, inteso come insieme di Stato e Regioni. È pertanto impellente - afferma il rapporto - prenderne atto da parte delle Regioni e del Governo e cercare di correre ai ripari anche per non lasciare spazio sia a scappatoie locali con la possibilità di continuare a fare debiti a carico degli esercizi e delle generazioni futuri, sia a ritorni centralisti che, oltre a non rappresentare una soluzione al problema, farebbero fare un salto all'indietro all'assetto democratico della Repubblica che nelle autonomie ha un suo pilastro fondante e di vitalità».

Secondo il rapporto non si deve «lasciare spazio sia a scappatoie locali con la possibilità di continuare a fare debiti a carico degli esercizi e delle generazioni futuri, sia a ritorni centralisti che, oltre a non rappresentare una soluzione al problema, farebbero fare un salto all'indietro all'assetto democratico della Repubblica che nelle autonomie ha un suo pilastro fondante e di vitalità».

E il caso del Lazio secondo Giorgi è emblematico sia dei determinanti del disavanzo strutturale sanitario e del loro manifestarsi, sia del funzionamento dei meccanismi del piano di rientro e di commissariamento. «Sono infatti evidenti - si legge - gli sprechi, le diseconomie e l'assetto irrazionale della rete di servizi, le inefficienze e le organizzazioni del lavoro involutive del Ssr, come pure la debolezza, se non l'incapacità istituzionale, a fronte di servizi tecnicamente complessi come la sanità pubblica, di assumere le decisioni strategiche nell'interesse generale, indispensabili "alla nave per navigare, evitando di star fermi a galleggiare, tanto più quando la nave rischia di affondare"».

I pilastri di una riforma
E da questi presupposti ecco i quattro «capisaldi» su cui una riforma della sanità regionale deve basarsi:

1. fuori la politica dalla gestione della sanità, questo a seguito di un nuovo rapporto tra politica e Amministrazione, dove la nuova politica si occupa "solo" di regole generali, di assegnazione al Ssr delle risorse e di controllo generale dell'equilibrio tra entrate e spese, di aumentare o, se possibile, diminuire le imposte, mentre la nuova amministrazione (struttura tecnico-manageriale) risponde, non a parole, della regolarità e dei risultati di gestione in termini di qualità dei servizi assicurati con le risorse a disposizione;

2. assetto aziendale (una holding delle aziende territoriali e dei distretti, responsabile del governo della domanda, dei contratti di acquisto di prestazioni sanitarie da pubblici e privati, dell'assistenza ai cronici e ai non autosufficienti, e una holding degli ospedali pubblici responsabili dell'offerta dei servizi sanitari specialistici) organizzato secondo il principio meritocratico e il patto di servizio pubblico - e di esplicitazione dei conflitti di interesse - da parte di tutti gli operatori, sia pubblici che privati, medici e professionisti, a garanzia del servizio da assicurare ai cittadini;

3. burocrazie regionali e locali ridotte all'essenziale, fine dei tagli lineari, incentivi all'innovazione e investimenti da finanziare con il 75% dei risparmi attesi/generati dagli stessi;

4. in caso di default, con carenze di servizio e situazione debitoria regionale oltre il limite, il commissariamento tecnico della Regione da parte del Governo deve essere effettivo. Il commissario scelto tra manager, esperti di sanità e di finanza. La durata del commissariamento di un anno, rinnovabile massimo per un altro anno a fronte dei risultati positivi in termini di qualificazione del servizio, di riduzione della spesa e degli interventi di ristrutturazione effettivamente avviati.

Lazio: fuori la politica dalla gestione della Sanità

di Roberto Turno (da Il Sole-24 Ore)


Le «clientele» e le «soggezioni agli interessi delle varie corporazioni» che dominano nel grande affare della sanità. E, va da sé, la politica che si lascia dominare e troppo spesso decide di non decidere, anche perché elettoralmente costerebbe. La corruzione sulla pelle della salute della gente che vale 1 miliardo l'anno. Un finto risanamento dei conti di asl e ospedali che è dipeso, non da miglioramenti di gestione, ma dai fondi statali in più e, quel che più conta, dalle maxi addizionali a carico di cittadini e imprese. E poi, quel ruolo a dir poco anomalo del governatore commissario di sé stesso per la sanità regionale. Contrapposto a un sub commissario, figura tecnica per eccellenza, che invece è solo un «soldato mandato sul campo con le scarpe di cartone».

Nella sede del Lazio a via Cristoforo Colombo devono ancora sentire il fragore del portone che ha chiuso dietro di sé lasciando per l'ultima volta quel palazzo e l'ufficio di sub commissario per il piano di rientro dal maxi debito ereditato dalla regione in anni e anni di gestioni sanitarie dissennate. Era metà dicembre (due mesi fa) quando Gianni Giorgi passava la mano dopo lunghi mesi di voci che si rincorrevano di un sostituto in arrivo. Un sostituto poi faticosamente trovato in Renato Botti, ex dg in Lombardia ed ex direttore generale del San Raffaele di Milano, che adesso avrà anche lui le sue gatte da pelare.

Anche perché Giorgi, sbattendo le porte, ha lasciato anche un «Rapporto di gestione» impietoso. La sua eredità scritta in 56 pagine, tanto per non lasciare niente in sospeso, uno j'accuse in piena regola. A un sistema che non regge più. Che a dicembre, quando spifferavano venti di tagli per la sanità, non capiva di essere sull'orlo del default, al punto da rischiare di non poter più pagare gli stipendi.

Perché le magagne del sistema sanitario laziale – in una ricostruzione di più gestioni da Marrazzo a Polverini, arrivando a sfiorare quella di Zingaretti eletto solo a febbraio – sono elencate una ad una. Un «quadro kafkiano», scrive l'ex sub commissario, commentando la situazione complessiva, ma anche la sua, che da un ruolo di «affiancamento» al governatore-commissario – prima la Polverini, poi Zingaretti – è finito relegato a un posto di «s-fiancamento». Dice proprio così: sfiancato. Neanche passacarte: è spettatore inerte di "non decisioni". E di altri fallimenti.

Il «Rapporto» non lascia niente in sospeso. Va da sé che i conti non tornano, che il piano di rientro dura da sette anni, rispetto ai tre previsti. Che i governatori commissari stanno attenti soprattutto al consenso politico e mancano «decisioni strategiche nell'interesse generale». Mentre i sistemi informativi e di controllo fanno acqua da tutte le parti e il deficit reale senza le maxi tasse varrebbe il doppio. Per non dire dei manager di asl e ospedali «autoreferenziali» che rispondono ai politici, di un servizio che pensa «alle esigenze di medici e operatori e non dei pazienti», della specialistica ambulatoriale lasciata al libero mercato («e a chi può permettersela») e della riabilitazione in mano a erogatori privati. Senza dimenticare – ma Giorgi non lo scrive – del ruolo della sanità cattolica a Roma e nel Lazio.

Fuori la politica dalla gestione della sanità, conclude Giorgi, basta burocrazia, commissari che siano manager veri anche della finanza. E vera meritocrazia. La sfida vera di Zingaretti, adesso, che ha sulle spalle la zavorra di così gravose eredità. Altrimenti addio alle residue speranze di una sanità sostenibile e universalistica. Possibilmente con meno (o niente) tasse in più.