Lavoro e professione

La Svizzera fa shopping di medici italiani. E li attira con stipendi tre volte più alti

di Alberto Magnani (www.ilsole24ore.com)

Il bivio scatta quando arriva lui, il "concorsone". Medico in Italia o medico all'estero? Se la scelta cade sulla seconda, c'è una meta che resta salda tre le preferenze: la Svizzera. Dopo la caccia agli ingegneri italiani, il mercato del lavoro elvetico sta attraendo una buona quota di camici bianchi in arrivo dalle università italiane. Questioni di spazi, visto l'incastro "favorevole" tra una Svizzera che fa shopping di talenti stranieri e un sistema italiano che sforna troppi laureati e troppe poche posizioni per la specializzazione. Ma non solo: stipendi d'oro, scatti salariali, «la voglia di fare i chirurghi in un grande contesto» che rimbalza da Zurigo alle fellowship internazionali. Il tutto, a poco più di un'ora di treno dalla Stazione Centrale di Milano.

Prove di fuga: i medici italiani in Svizzera sono quadruplicati in 8 anni. Non sarà una fuga di massa, ma i numeri ci sono. Un'indagine indipendente commissionata dal Segretario Italiano Giovani Medici alla Federazione Medica Svizzera ha rivelato che i medici con diploma italiano e contratto in Svizzera sono aumentati di più di quattro volte dal 2004 al 2012: da 155 a 648, il 7,4% dei medici stranieri contrattualizzati in tutto il paese. I camici bianchi attivi in ambulatorio sono cresciuti dagli appena 31 di 11 anni fa ai 245 del 2012, quelli impiegati in ospedale sono saliti nello stesso periodo da 124 a 403.
Le ragioni sono tante, ma è facile intravvedere (anche) un riflesso dello squilibrio tra laureati italiani e posizioni disponibili nelle scuole di specializzazione: solo l'ultimo concorso ha ammesso 5mila dottori su 11mila candidature, se non si tengono in conto i 300 "ripescati" dopo i ricorsi. Per non parlare dei tira e molla tra un bando e l'altro, quanto basta a far orientare altrove anche i candidati migliori. F.F., 25 anni, si è laureato nel giugno 2014 con 110 e lode. Da allora, mesi nell'incertezza senza sapere dove e come si sarebbe svolta una prova che decide il suo futuro professionale. «La tempistica è un aspetto che non possiamo dimenticare, perché rimanere fermi a 25 anni è stressante e ingiusto, soprattutto se hai finito i tuoi studi per tempo e hai diritto di essere trattato in maniera più chiara. Come fanno in Svizzera e nei paesi del nord in generale».

Un contratto, non una borsa
. E lo stipendio è (almeno) il triplo
E poi, ci sono gli stipendi. Il sistema di formazione svizzero, scandito da sei contratti annuali e non da una borsa unica come in Italia, prevede un principio sconosciuto ai nostri specializzandi: gli scatti salariali. Per i "medici assistenti" assunti all'Ente Ospedaliero Cantonale del Ticino la tabella retributiva parla di 84.162 franchi lordi per il primo anno (circa 80mila euro), 92.183 per il secondo, 100.230 per il terzo, 108.251 per il quarto, 116.285 per il quinto e 124.285 per il sesto e conclusivo anno di specializzazione. In altre parole, da 80.838 euro del primo contratto ai 119.376 dell'ultimo anno in veste di assistenti. Tasse e costi della vita possono erodere l'importo finale, ma il paragone con l'Italia fa ancora il suo effetto: gli specializzandi dell'Università di Milano percepiscono una quota fissa di 22.700 euro annui e una quota variabile di 2.300 euro per i primi due anni e di 3.300 per i restanti quattro. Senza contare i benefit inclusi nel contratto elvetico: quattro settimane di ferie, previdenza professionale, copertura assicurativa...

Chirurghi di fatto: 545 operazioni prima del titolo. Fabio Garofalo, 34 anni, si è laureato all'Università di Palermo con 110 e lode. Poi due anni nel Regno Unito e sette in Svizzera, dove ha acquisito il titolo di chirurgo. Ora è in Canada come Fellow e farà ritorno nel suo paese di adozione solo nel 2017. Conosce i difetti del sistema elvetico e invita a fare differenza tra assistenti puri e assistenti che otterranno la formazione ( «Un quarto di tutti i contratti assegnati agli stranieri»). Ma rivendica il valore aggiunto che lo ha spinto al di là delle Alpi: una vocazione sia pratica che accademica, meno ancorata alla visione teorica del modello italiano.
«Prendiamo il mio percorso, quello di chirurgia: prevede due anni di clinica universitaria, 545 operazioni chirurgiche, corsi di formazione aggiuntivi. Quando arrivi all'ultimo anno, se vuoi il titolo, devi dimostrare di saper fare il chirurgo». A proposito: e la lingua? Il catalogo di oltre 500 operazioni non può essere svolto nel solo Canton Ticino, ma prevede interventi in ospedali di area francofona e tedesca. «Sì, ma stiamo parlando di un paese tollerante alle diversità linguistiche e abituato ad accenti ben diversi – spiega Garofalo - È chiaro che poi le conoscenze vanno affinate, ma intendo dire che non è uno scoglio insormontabile: ci sono medici tedeschi che hanno problemi nel capire subito il tedesco parlato in Svizzera!».

I contro: contratti annui e il "rischio cul-de-sac". Però...
Certo, sottolinea Garofalo, «se da tanti punti di vista ci sono dei vantaggi innegabili, come l'aspetto retributivo, non è tutto oro quello che luccica». Tra gli aspetti che si possono ritorcere contro i neodottori italiani, c'è proprio la durata dei contratti: il rapporto si rinnova di anno in anno, con il vantaggio dello scatto salariale e lo svantaggio sempre in agguato di ritrovarsi per strada al primo veto del primario. Oltre all'incognita della saturazione, che già si fa intravedere nella bilancia tra medici svizzeri e medici stranieri: «Il problema è che può sorgere è di rimanere in un cul-de-sac nel proprio percorso: se ad esempio per i due anni di clinica universitaria non ci sono posti a sufficienza nell'università, rischi di restare al palo».
Insomma: la celebrata puntualità svizzera non si rivela sempre tale con i tempi di inizio e chiusura del percorso di formazione. Non sono rari i casi di carriere che si dilatano negli anni per i vari intralci che sopraggiungono tra un contratto e l'altro, anche se l'opportunità di cambiare specialità in corso d'opera può rimettere in moto gli studi. «In Svizzera sai quando inizi ma non sai mai come finisci, perché non esiste un programma di formazione chiaro. Però, se si vuole tentare, resta uno scenario che ti permette di fare veramente il chirurgo, di cambiare tanti ospedali, di imparare sul campo. E poi c'è una meritocrazia di fondo, se vali puoi crescere. Non sempre è possibile in Italia».