Lavoro e professione

Legge di Stabilità, per i medici il regalo dell'indennità di esclusiva sbloccata. E per le Regioni il conto si fa più salato

di Barbara Gobbi e Rosanna Magnano

Il paradosso di una legge di Stabilità che formalmente ha recepito il Patto per la salute, ma che di fatto ha imposto l'imperativo di tagli per almeno 4 miliardi, è esemplificato dalle norme ambigue introdotte dalla manovra, in tema di personale. Che da una parte prorogano il blocco della contrattazione ma, dall'altra, impongono alle Asl (e quindi ai governatori) una extra-spesa dovuta allo scongelamento del peso massimo "indennità di esclusività". Un automatismo che riguarderà tutti i medici (e una fetta del comparto che però non grava sul bilancio aziendale) e di cui beneficerà soprattutto chi ha un'anzianità professionale di 15 anni.
Per la categoria dei camici bianchi, un "regalo" che «vale ben di più di un rinnovo - spiega l'esperto Stefano Simonetti - . Tornano a essere liberi da vincoli e congelamenti il tetto al trattamento economico ordinario (articolo 1), la definizione del trattamento economico complessivo del dirigente rispetto al predecessore (comma 2), l'ammontare dei fondi per il trattamento accessorio (comma 2-bis), le progressioni di carriera comunque denominate (comma 21). È vero, è stato deciso un altro anno di blocco della contrattazione; tuttavia, poter ricominciare a gestire i fondi contrattuali senza doverli ulteriormente decurtare e poter ricorrere ad alcuni strumenti premianti potrebbe rivelarsi una opportunità formidabile per dare finalmente riconoscimento alla meritocrazia e poter premiare chi lavora veramente e con disagio».

La nuova Finanziaria (legge 190/2014), infatti, non proroga i blocchi previsti dalla legge Tremonti, svincolando di fatto la gestione dei fondi contrattuali come più volte chiesto dai sindacati medici. Un pacchetto di misure che va dalla possibilità di aumentare il valore dell'incarico dirigenziale (sia in caso di rinnovo che di nuovo titolare) all'eliminazione dei tetti ai fondi destinati al trattamento accessorio.
Un rompicapo in più per le Regioni, che se entro il 31 gennaio non avranno proceduto con un'Intesa, passeranno al Governo il cerino acceso sotto forma di un Dpcm che dovrà indicare come e dove tagliare. Dopo il via libera a una legge di Stabilità propagandata come espansiva, i governatori si ritrovano infatti con un pugno di mosche: le proposte (si veda tabella in pagina) che avevano gettato sul tavolo degli incontri informali con i rappresentanti dell'esecutivo, in corso di esame della manovra. «Proposte di cui sostanzialmente hanno deciso di non tenere conto - precisa il presidente della Stato-Regioni Sergio Chiamparino - fatta salva l'operazione sul Patto verticale incentivato, che peraltro va essenzialmente a favore dei Comuni. A questo punto spetta al Governo, cui confermiamo la nostra disponibilità, indicare la possibile ricetta dei risparmi».

La prossima Conferenza Stato-Regioni è fissata, senza fretta, giovedì 22 gennaio. Le Regioni, insomma, stanno alla finestra. Chiamate, come del resto era già chiaro fin dai primi passi della manovra in Parlamento, a una quadratura del cerchio che pare sempre più irrealizzabile. Con un Patto per la salute che è stato sì recepito dal testo della legge 190, ma che di fatto è disatteso e pare destinato a rimanere lettera morta (v. Il Sole-24 Ore Sanità n. 47-48/2014). E con l'aggiornamento del Dpcm sui Livelli essenziali di assistenza che, annunciato come ormai prossimo (la deadline fissata dal "Patto" è scaduta il 31 dicembre), è ancora affannosamente in cerca di coperture e inevitabilmente dovrà avvenire al ribasso. Ne è convinto l'assessore al Bilancio della Lombardia Massimo Garavaglia, che nelle ultime settimane prima del varo della legge di Stabilità ha guidato per le Regioni la trattativa con il Governo sulle ricette sostenibili ai fini del taglio da 4 miliardi imposto dalla legge di Stabilità, a cui vanno a sommarsi circa 2 miliardi di colpi di scure pregressi. «Fino all'ultimo - rilancia Garavaglia - le Regioni hanno provato a mettere sul piatto una serie di proposte d'intervento che salvaguardassero i nodi più sensibili, come la sanità. Il punto è che le nostre ricette funzionavano tutte - attacca - ma il "principe" Renzi non le ha volute. Ciò che ha prevalso è stata la volontà politica di "salvare la faccia", portando avanti promesse come gli 80 euro in busta paga per i redditi più bassi, in barba al principio di leale collaborazione tra le diverse componenti dello Stato». Il risultato è presto detto, secondo Garavaglia: l'inevitabile decurtazione del Fondo sanitario nazionale per almeno 1,5 miliardi e l'aumento delle tasse in tutte le Regioni. «Salvo la Lombardia - tiene a precisare - che però sarà costretta a venir meno all'impegno di eliminare i ticket, che se rispettato avrebbe sgravato i cittadini di circa 500 milioni di imposte. Altro che tagli lineari: questi sono tagli superlineari, anzi proporzionali al Pil».
Il margine di movimento, a questo punto, è decisamente limitato. Questa settimana i governatori torneranno a incontrarsi soltanto con la ministra delle Riforme Maria Elena Boschi, in tema di Titolo V. «Sei miliardi di tagli tra la manovra attuale e quelle pregresse - sentenzia tranchant Garavaglia - comporteranno l'azzeramento di tutti i trasferimenti alle Regioni: dalle borse di studio alle scuole paritarie fino al fondo per la non autosufficienza. E inevitabilmente ci imporranno di mettere mano al Fsn, così come del resto prevede la stessa legge di Stabilità. Con un Fondo decurtato non si riuscirà a mantenere l'efficienza dei servizi né tanto meno il buon livello delle prestazioni. L'aggiornamento dei Lea? A questo punto sia Renzi a indicare come farlo, al ribasso. Con buona pace delle promesse della ministra della Salute Lorenzin, che non è stata capace di tenere il punto e di difendere gli interessi del Servizio sanitario nazionale».