Lavoro e professione

Rebus specializzandi: tra sei anni 10mila medici a rischio disoccupazione

di Rosanna Magnano

Se non si troverà il modo di rimediare, nel 2020 un medico su due non avrà un futuro professionale, almeno in Italia. Se infatti non sarà aumentato il numero delle borse di studio per la specializzazione, anzi praticamente triplicato, fra sei anni circa 10mila giovani laureati resteranno senza prospettive, con il percorso formativo bloccato.

A lanciare l'allarme è Angelo Mastrillo, segretario della Conferenza dei corsi di laurea delle professioni sanitarie: «Da quest'anno - spiega - si registra un'impennata del numero degli iscritti (circa 16.500) a seguito delle pronunce della magistratura amministrativa sui numerosi ricorsi presentati in relazione ai test di ammissione (circa 6.500 in più). Ebbene - sottolinea l'esperto - da qui a sei anni sono attesi circa 14mila laureati, vale a dire circa l'85% degli iscritti. Quindi - conclude - o si triplica il numero delle borse di studio oppure, tra sei anni, circa 10mila giovani medici rimarranno, di fatto, senza lavoro». E saranno magari costretti a «fuggire» all'estero.

La necessità di trovare una soluzione si potrebbe considerare a questo punto quasi un «dovere morale» da parte dello Stato dal momento che, secondo gli esperti, a furia di ritardi nell'apertura dei bandi per le specializzazioni si è saltato quasi un anno. Andrebbero quindi «resituiti» mediamente 6.500 contratti di specializzazione «risparmiati» nel tempo. Il che contribuirebbe in buona parte a sanare il problema.

Il punto è stato fatto oggi alla Camera dei Deputati, nel corso di un incontro sulla formazione medica, promosso da Paola Binetti (deputata del Gruppo parlamentare per l'Italia), che ha presentato un'interrogazione alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin, in materia di formazione medica. La Binetti chiede alla ministra come intende rispondere "ai segnali di preoccupazione che provengono dal mondo universitario". Al centro del problema, «la futura sorte dei medici che non entreranno nelle scuole di specializzazione, per l'assurdo gap che separa numero di iscritti alla facoltà di medicina e numero di contratti per l'accesso alle scuole di specializzazione».

Secondo Andrea Lenzi, presidente del Cun (Collegio universitario nazionale) la ricetta sembra semplice: sì al numero chiuso, migliore programmazione, quiz fatti meglio, e numero di specializzandi proporzionato a una rete formativa fatta insieme alle Regioni e agli ospedali. «Il numero di immatricolati - afferma Lenzi - deve essere proporzionato alla reale esigenza del Paese. Riteniamo infatti che attualmente i numeri siano troppo elevati». Per quanto riguarda invece le scuole di specializzazione, secondo Lenzi, «vanno messe in condizione di funzionare, con una rete formativa fatta assieme dall'ospedale e dall'ateneo, ma con una conduzione universitaria, perché questo è il sistema migliore. Almeno in quest'epoca».

Nel dibattito è intervenuto anche Raffaele Calabrò (Ncd) componente della Commissione Affari sociali della Camera: «I medici abilitati possono essere destinatari di contratti a tempo determinato (anche libero-professionale) per accedere a ruoli dirigenziali, sotto il controllo tutoriale dei medici strutturati, all'interno delle Aziende sanitarie dei vari Servizi sanitari regionali». «I contratti - precisa Calabrò nelle sua proposta - hanno la durata di un anno e rinnovabili di anno in anno per non più di un triennio».

A tentare di trovare la quadra - l'appuntamento è per domani 20 novembre - il tavolo politico sulla gestione del personale sanitario, previsto dall'articolo 22 del Patto per la salute che dovrà lavorare sulla bozza del ddl delega. Una prima versione circolata nelle scorse settimane , prevede in una forma ancora da chiarire l'introduzione del cosiddetto teaching hospital, ossìa un doppio binario Ospedale-Università per l'iter formativo degli specializzandi, con l'ingresso nel Ssn dei laureati in Medicina (e abilitati) con inquadramento in una categoria non dirigenziale (lo stipendio della caposala).