Lavoro e professione

XXIII Congresso Anaao, Troise: «La sfida è per tutti: cittadini, istituzioni, partiti. Noi faremo la nostra parte»

«Il Congresso di Silvi Marina, nel giugno 2010, si svolse a ridosso dell'approvazione del DL 78, che poi diventerà la famigerata L.122/2010, che inaugurò la stagione dei blocchi, di contratti, nazionali ed aziendali, e del turnover e dei tagli, ai fondi contrattuali ed al finanziamento della sanità pubblica. E si chiuse con la nostra protesta che culminò nello Sciopero Nazionale di 24 ore del 19 luglio. Sono passati 4 anni, e 3 Ministri della Salute si sono avvicendati, ma nessuno dei problemi aperti da quella logica emergenziale si è risolto. Anzi. Sono stati ulteriormente prorogati i blocchi contrattuali al 2014, e poi a tempo indeterminato, continua l'abuso incontrollato di contratti atipici per i quali un decreto propagandato come risolutivo si è rivelato un flop, la crisi della formazione medica è assurta a vera emergenza nazionale, avanzano, sotto la spinta di Governo e Regioni, nuove professioni sanitarie all'insegna di mirabolanti risparmi, e più certi ritorni elettorali, si susseguono allarmanti avvisaglie di una strategia complessiva di ridimensionamento dell'intervento pubblico. E siamo alle prese con una riforma della pubblica amministrazione che ci porta il taglio lineare della agibilità sindacale, la mobilità coatta, a guisa di pacchi postali pronti alla partenza, la rottamazione generalizzata, a prescindere dalla età anagrafica, vale a dire incarichi e carriere a disposizione della politica. Ed anche questa estate si preannuncia calda». Inizia così la relazione che il segretario nazionale Costantino Troise prersenta questa mattina al 23° congresso nazionale Anaao di Abano Terme.

Una relazione in cui Troise (VEDI L'INTERVISTA ESCLUSIVA A IL SOLE-24 ORE SANITA' ) illustra questa mattina quelli che definisce «i determinanti della tempesta perfetta che ha colpito duramente la tenuta del Ssn», sottoponendolo, afferma, a erosioni strutturali, premesse per un suo sfaldamento, ed ipotecando anche pezzi importanti della nostra vita professionale:

- la crisi economica, che ha fatto irrompere prepotentemente sulla scena il tema della sostenibilità, ancorchè spesso usata come alibi per operazioni politiche, malamente travestite da opzioni tecniche, di apertura alla intermediazione finanziaria ed assicurativa;

- lo spostamento dell'asse della politica sanitaria verso le Regioni, con il corteo di conflitti istituzionali, piani di rientro e commissariamenti, che ormai interessano quasi la metà della popolazione, LEA non garantiti ma eventuali in molte aree, diseguaglianze nella esigibilità del diritto alla salute, migrazione sanitaria;

- il dissolversi dei partiti tradizionali, in preda ad una colossale crisi di fiducia e consenso, che hanno cancellato la sanità dalla loro agenda ed abdicato al ruolo di paladini del SSN, anche se la Commissione Affari sociali della Camera ha di recente riconosciuto che "il SSN è un valore insostituibile";

- la confusione conflittuale di identità professionali, vecchie e nuove;

- la perdita di valore del lavoro nel sistema sanitario, con CCNL mutilati e bloccati sine die per via legislativa, e del lavoro pubblico in genere, assimilato tout court a spesa improduttiva e parassitaria;

- il collasso del sistema della formazione medica chiuso in un cul de sac che lo trasforma in una fabbrica di disoccupati e priva la sanità del necessario turnover e della possibilità di trasmettere competenze professionali essenziali;

- la crescita del contenzioso legale che toglie serenità al sistema della cure.

«Il nostro sistema sanitario sta perdendo pezzi di accessibilità, equità e qualità - affermna Troise - e quindi di consenso tra i cittadini, come dimostrano i rapporti annuali che puntualmente segnalano anche la crescita numerica delle fasce di popolazione a rischio povertà per impreviste spese sanitarie e di quelle che non accedono alle cure per difficoltà economiche (11 milioni di cittadini). Il come ed il perché è riassumibile in tre parole: definanziamento, decentramento e decapitalizzazione».

E la ricetta che Troise indica è ancora una volta quella di «ripartire dal lavoro»: «I Lea siamo noi, e le nostre abilità e competenze - afferma nella sua relazione - che spesso fanno la differenza tra vita e morte, tra malattia e salute, sono un pre-requisito del rilancio del Servizio Sanitario pubblico e nazionale e del suo incremento di efficacia ed efficienza, anche contro la logica anti ospedaliera imperante. Una logica che sta dominando da tempo programmi e strategie politiche, istituzionali, professionali e accademiche, rispetto alla quale manteniamo un atteggiamento a metà tra il fastidio e il fatalismo. Quasi assuefatti all'idea che tutto il bene risieda ormai fuori dalle mura ospedaliere e tutto il male all'interno, abbiamo subìto progressive operazioni di smantellamento o ridimensionamento della rete nosocomiale, sempre in fiduciosa attesa di una parallela costruzione di una rete alternativa e complementare. Il che non è avvenuto, anche perché è più facile trasferire risorse che funzioni».

Questi i concetti che sintetizzano i vari aspetti trattati da Troise.

Definanziamento
«Impoverire la sanità pubblica, screditarla, svuotarla di competenze professionali e innovazioni tecnologiche, significa condannarla a non reggere la onda d'urto della crisi e ad essere spazzata via, a scapito del grado di civiltà dell' intero paese. Nessuno come noi vede limiti, difetti, inefficienze e anche clientele e malaffare che inquinano il mondo della sanità. "Ma occorre evitare pregiudizi, ideologismi, aneddoti portati a sistema, luoghi comuni strumentalizzati da interessi che vedono la sanità come un mercato, in cui gli utili sono privati, i costi pubblici, i diritti delle persone un optional e il valore del lavoro e della responsabilità una variabile da saldare al massimo ribasso"(Lusenti). La lotta agli sprechi, compresi quelli legati alla corruzione ed alla invadenza pervasiva della politica, su cui i cultori della non sostenibilità semplicemente sorvolano, non può rimanere ai margini di una discussione sulla sanità che, per sua natura, interroga la democrazia».

Federalismo
Va rivisto «il modello aziendale concepito e organizzato a partecipazione professionale e responsabilità sociale assente, per realizzare un management diffuso, aperto alle domande della società. E pensare a luoghi nuovi rispetto allo stesso Consiglio Superiore di Sanità ormai appaltato ad una istituzione terza, in cui il lavoro, le professioni, l'operatività del Ssn abbiano voce nei confronti delle scelte di politica sanitaria, sul modello di un "professional board" oppure di un consiglio sanitario nazionale, già previsto dalla L.833. Lo stesso disegno del governo clinico non potrà compiutamente realizzarsi se non si sviluppa un sistema di sistemi che promuove e verifica ex ante una sorta di Livelli Essenziali di Qualità e Sicurezza delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie rese ai cittadini, affidato ad una vera e propria cabina di regia nazionale, soggetto terzo, dal punto di vista istituzionale, tra Stato e Regioni.
Attualmente il dibattito sulle implicazioni del federalismo sotto il profilo della equità e della giustizia distributiva ha ancora scarsa rilevanza, e le decisioni emergono da un compromesso in cui il finanziamento è il solo valore in gioco. Ma forti sono i rischi per l' integrazione sociale e la unità nazionale derivanti da un sistema in cui i cittadini non condividono più gli stessi principi di giustizia sociale in un ambito rilevante come quello della salute.
Le Regioni hanno oggi, e verosimilmente avranno domani, il potere, ma è necessaria una politica per un progetto di servizio sanitario federale ed una idea federale di salute. La questione ancora aperta è chi, come, con che cosa si definisce la identità pubblica di un sistema sanitario regionalizzato, il suo governo e le sue politiche rispetto al diritto alla salute, cui restituire una dimensione nazionale».

Capitale umano
«La involuzione recessiva della sanità pubblica porta tagli anche a chi opera in nome e per conto dello stato, tutti i giorni e tutte le notti, a difesa di un bene tutelato dalla Costituzione. Non è solo il blocco di contratti e convenzioni, che inchioda al 2010 il valore nominale degli stipendi e comporta una perdita di potere di acquisto del 20%, maggiore per i giovani medici - che pagano da medici la colpa di essere giovani-, non è solo la mutilazione continua di contratti in vigore, operata da ogni legge, alla faccia della privatizzazione del rapporto di lavoro. Il peggio è la mortificazione del ruolo professionale e l'imbarbarimento delle condizioni di lavoro, che sono molto peggiorate nell'ultimo decennio. Milioni di ore di lavoro non pagate, ritmi e carichi di lavoro che mettono a rischio la sicurezza delle cure, ignorati da riforme delle pensioni che non considerano la diversa fatica dei differenti lavori, costringendo le donne della sanità, impegnate in turni notturni e festivi, ad andare in quiescenza dopo rispetto a donne impegnate in settori privati con lavori meno stressanti, un abuso di contratti atipici diventati ormai sacche di precariato stabile. Fino al punto di chiederci di lavorare di più senza retribuzione e senza riconoscimento di ruolo. Qui nasce il dilagare della medicina difensiva, la riduzione degli spazi di umanizzazione, la compressione dei tempi di relazione che sono tempi di cura, una caduta dei livelli di sicurezza delle cure per operatori e cittadini. La austerity del blocco retributivo è peggio anche dei tagli lineari perché, comunicando che le possibilità di crescita economica sono solo al di fuori del sistema pubblico, produce disincentivi che lo impoveriscono. Il blocco del turnover, assoluto e lineare, non solo chiude le porte ad una intera generazione di giovani, respinta o precarizzata dopo 11-12 anni di formazione, lasciando al palo le loro speranze per una occupazione consona al lungo periodo formativo, ma impedisce, in molte parti del Paese, di garantire i Lea. L'invecchiamento delle categorie professionali non è ininfluente sulla efficacia e sulla efficienza. Non è possibile mantenere un sistema di tutela della salute equo, solidale ed universalistico, se le professioni del Servizio Sanitario vengono sconfitte nei loro valori etici e deontologici, marginalizzate a macchina banale nelle organizzazioni sanitarie. Il disagio crescente dei professionisti e la crisi di fiducia dei cittadini nella affidabilità del sistema sanitario rappresentano minacce in grado di erodere uno straordinario patrimonio civile e tecnico professionale del nostro paese. La sostenibilità del servizio sanitario passa anche per la valorizzazione e la responsabilità dei suoi professionisti».

Patto per la salute
«Il patto della salute in corso di firma rischia di rappresentare una occasione perduta ... l'agenda del Patto NON può affrontare le problematiche del personale, che del SSN rappresenta la principale, e più costosa risorsa, nel vuoto di uno spazio contrattuale che sia strumento di cambiamento e di riconciliazione della dimensione organizzativa con quella del lavoro. I medici italiani stanno pagando un contributo economico non indifferente alla crisi economico-finanziaria del Paese, con retribuzioni e sviluppi di carriere bloccate, riduzioni massicce del turn over e conseguente aumento dei carichi di lavoro, ed alla stessa sostenibilità del Servizio Sanitario pubblico in questi tempi aridi. Basti pensare alla difficoltà di reggere riorganizzazioni a getto continuo, che spesso inseguono il risparmio contingente richiesto dalla manovra di turno senza configurare assetti affidabili per un arco ragionevole di tempo, ed al rischio civile, penale e patrimoniale insito in un esercizio professionale colpevolmente privo di una idonea definizione di colpa medica e sanitaria, e che opera in organizzazioni che sempre meno si permettono interventi per garantire al meglio la sicurezza delle strutture, dei processi clinico assistenziali e degli operatori stessi.
Senza un nuovo compromesso sociale tra Stato e Medici la sanità pubblica continuerà a rincorrere di manovra in manovra, di patto in patto, le ragioni della propria sopravvivenza acuendo il disagio dei cittadini».

Formazione medica
«La formazione medica è diventata una vera emergenza nazionale che non si può affrontare senza mettere in discussione il monopolio della Università. ... . La previsione del titolo di specializzazione come requisito per l'accesso al Ssn ha allungato enormemente il periodo formativo, ritardando l'accesso al lavoro dei Medici con tutte le conseguenze, previdenziali e di carriera, del caso. La eccessiva lunghezza di tale percorso, nella quasi totalità lontano anche dal garantire gli obiettivi professionalizzanti previsti dalla UE, rende inutilmente penalizzante per i medici che completano la propria formazione in Italia, il mantenimento dell'obbligo della specializzazione per accedere alla dirigenza medica del SSN. Una alternativa alla possibilità di inserimento immediato del neolaureato nei posti vacanti del SSN, laddove è, dai vigenti contratti, considerato come "medico in formazione" per i primi 5 anni, potrebbe essere rappresentata dal considerare il secondo triennio come contratto di formazione lavoro da svolgere nelle strutture del Ssn con compiti e retribuzione, diretta ed indiretta, contrattualizzati».

Crisi professionale
«Alla base della crisi c'è, forse, uno sfuocamento di un mestiere che conserva tutta la sua bellezza, oggetto ancora di timore, talvolta di invidia, se tanti non medici parlano e scrivono di quello che dovremmo fare, dettandoci tempi e agende. Mentre, da parte nostra, facciamo fatica a capire come e quanto sia cambiato un lavoro che permea tutta la nostra esistenza, e soprattutto come cambierà ancora, anche grazie alla rimozione che noi stessi abbiamo compiuto in questi decenni delle sue ragioni e della sua natura.
Oggi, a differenza che nelle generazioni precedenti, non è il progresso tecnologico a comandare il gioco, ma sono i luoghi delle cure a trasformarsi fino a scomparire, lasciando sullo sfondo i curanti( e, ancor peggio, i curati). Una moltitudine di protagonisti mutuati da altri mondi, economia, scienze ingegneristiche, politica continuano a parlarci di tagli con linguaggi estranei alla nostra quotidianità usando parole anglosassoni che hanno smarrito ogni contenuto. Fino a dettarci l'imperativo "adapt or die". Non c'è spazio per le sofferenze che siamo chiamati a vedere, diagnosticare, com-patire, talvolta guarire».

Stato giuridico
«La questione dello stato giuridico di medici e dirigenti sanitari dipendenti è collegata alla necessità di ripensare l'attuale modello di governance, di fatto un potere monocratico su cose e persone, e quindi i rapporti tra contenuto e contenitore. ... La categoria speciale inseguita vanamente nel passato non è l'unica via di uscita, ammesso che sia possibile porre altri 114.000 professionisti come categoria speciale, ed accettabile la rinuncia ad organizzazioni, strumenti, prerogative di carattere sindacale a fronte di benefici incerti.
Altra soluzione potrebbe essere quella di professionisti che lavorano per il Pubblico in un rapporto di convenzione. Anche qui, c'è un problema di numeri ma soprattutto di come conciliare uno status di libero professionista con l'affidamento di risorse umane, tecnologiche, economiche anche ingenti.
Una soluzione più realistica potrebbe essere insistere e rivisitare, su presupposti diversi e più coerenti con la natura peculiare del sistema di tutela della salute dei cittadini, il carattere di "dirigenza speciale" delineato dall'art.15 del vituperato Dlgs 229/99. Si tratta allora di rivedere ed accentuare fortemente il carattere "speciale" della dirigenza del S.S.N., rafforzandone in termini certi l'autonomia sia nel profilo professionale che gestionale che rendono peculiare la "funzione" sanitaria, dando contenuti e riconoscimenti alle singole posizioni e certezza alle azioni professionali specifiche, anche attraverso il supporto di modifiche legislative.
Le categorie dei medici dipendenti e della dirigenza sanitaria oggi sono unite nel denunciare un diffuso disagio ed una crescente insofferenza verso il modello aziendale che ha mostrato e mostra costantemente la sua assoluta inadeguatezza».

Ruolo professionale
Solitudine del medico a decidere del destino dei malati, crescita del contenzioso, l'avanzare delle nuove professioni sanitarie che erodono i tradizionali ambiti di esercizio della professione medica, conflitto tra organizzazione e professione: «Alla idea di governo clinico, che riconosce la centralità del ruolo delle professioni all'interno delle Aziende Sanitarie, è possibile affidare quanto la tradizionale cultura aziendalista ha dimostrato di non poter compiutamente provvedere, e cioè la garanzia delle finalità etiche, civili e tecnico-professionali del servizio, nel rispetto delle compatibilità economico finanziarie, reclutando tutti i professionisti, medici e non, all' obiettivo di invertire le curve di caduta della qualità e del consenso sociale e della contestuale crescita dei costi. Il riconoscimento e il rispetto di una sfera decisionale fondata su una loro sostanziale autonomia tecnico professionale deve tradursi nella individuazione di organismi professionali che orientino e supportino il management aziendale nelle scelte tecniche, e di procedure di selezione e verifica delle carriere meno discrezionali ed autoritarie, alleggerendo l'insopportabile deriva burocratica verso la quale è oggi sospinta la pratica dell' appropriatezza clinica. Un diverso equilibrio, o meglio l'integrazione delle competenze e dei poteri nelle aziende sanitarie, quello politico, quello manageriale e quello tecnico professionale è oggi questione centrale e soprattutto cruciale nel vincere (o perdere) le due sfide più grandi per il nostro sistema sanitario e cioè quella del consenso dei cittadini e quella della sua sostenibilità economica nella salvaguardia dell'universalismo e dell'equità. ... Non basteranno a vincere queste sfide pur necessarie iniezioni di meritocrazia o la messa in discussione del mitico rapporto fiduciario. ... . La discrezionalità connessa al principio del rapporto fiduciario, la natura monocratica del management aziendale, la subalternità dell'autonomia tecnico-professionale alle ragioni della gestione economicistica che esse rivendicano, è il paradigma unico e immutabile, quasi un valore indisponibile. Questo pensiero unico, fortemente strutturato, è tenacemente protetto nella architettura normativa dell'azienda sanitaria, e della Regione divenuta quasi una corporation. Ed è questo il punto da mettere in discussione, non certo con la sola costituzione di albi, che peraltro esistono già in alcune regioni, sia pure formati per titoli e colloquio, ma recuperando l'idea del governo clinico che mantiene le sue buone ragioni anche se ha perso forza, agibilità e concretezza, in una inerzia legislativa che ha indebolito potenzialità e deluso speranze. Rimane per noi evidente la necessità di un sostanziale cambio di paradigma culturale, politico e sociale che, a garanzia di un servizio sanitario universalistico, equo, efficace e solidale, definisca un nuovo Patto con la Professione Medica in una nuova cornice culturale, giuridica, amministrativa, civile e sociale».

Ruolo sindacale
«Per quello che riguarda l'Anaao Assomed, vogliamo offrire a tutti gli iscritti, ma soprattutto a giovani e donne, che sono non il nostro futuro, ma il nostro presente, una organizzazione convincente ed attrattiva per assicurarci una storia ancora più gloriosa di quella vissuta nei primi 50 anni. Un sindacato più forte, capace di farsi portatore di istanze diverse e di tutelare interessi legittimamente differenti, includere letture differenti del mondo sanitario perché fatte da occhi diversi. Per cambiare le parole ed i paradigmi della professione, a partire dalla formazione, e (ri)cominciare dal valore del lavoro e della salute. Per essere protagonisti, responsabili e creativi, del cambiamento della sanità italiana, nel quale i Medici non possono essere espulsi da ruoli organizzativi e gestionali per essere confinati nella cittadella delle competenze cliniche, per la verità affollata da una moltitudine di strangers.
Per intanto un compito cui non possiamo sottrarci è dare al cambiamento un contenuto ed un progetto, un programma convincente e dirigenti credibili, per suscitare aspettative che contengono dosi di speranza e fiducia che non hanno solo un valore etico ma anche di appartenenza».

Il futuro
«Abbiamo bisogno di parole d'ordine e bandiere dietro le quali marciare: contratto subito, legge sulla responsabilità professionale, giovani, lotta al precariato e cambio di paradigma del sistema formativo, valorizzazione del lavoro calate in una nuova sceneggiatura per vecchi e nuovi interpreti. E di un Ministero che avverta la responsabilità del grande patrimonio professionale che gli viene affidato, valorizzandolo e difendendolo tutto, senza cordate o simpatie politiche, come ha fatto e fa il ministro degli interni con il comparto sicurezza o il Miur con il comparto scuola.
Il cambiamento necessario passa per il lavoro, e per il contratto come strumento di innovazione e terreno di scambio. Chi tiene aperti i cancelli della fabbrica senza fare serrate, malgrado il peggioramento delle condizioni retributive e di lavoro, siamo noi, noi che abbiamo il reale ed effettivo possesso dei mezzi capaci di risolvere la domanda di salute. Da questa leadership sociale vogliamo ripartire, per tornare a credere in noi stessi, per la assunzione diretta di responsabilità individuali e collettive in una civile e forte difesa del Servizio sanitario nazionale e della nostra professione, della sua autonomia e dei suoi legittimi interessi. Noi non siamo palle da biliardo che si muovono sul tappeto assecondando i movimenti di chi muove la stecca o, peggio ancora, operatori invisibili. Siamo una risorsa preziosa alla ricerca di un ruolo che renda la giusta evidenza della nostra utilità, che va oltre le conoscenze riferite ai corpi, perché nemmeno il medico può essere refrattario alle discontinuità del contesto sociale cui appartiene e da cui ritiene, a torto, di essere autonomo. "Un' artista non è mai povera" faceva dire Karen Blixen a Babette quando raccontò di aver speso tutto il patrimonio vinto alla lotteria nella preparazione del bellissimo pranzo. Dopo anni in cui molto è andato perso, ma è anche stato sperperato, non solo posizioni, ma anche fiducia, dignità, quel che resta ancora di quell'arte non è poco».