Lavoro e professione

Sanità in carcere, Simspe: «Assistenza pessima e Asl prive di know how. In cantiere protocolli operativi per cure più omogenee»

Oltre un detenuto straniero su due ha la Tubercolosi, che in carcere si può contrarre dalle 25 alle 40 volte in più rispetto all'incidenza nella popolazione generale. L'Hiv ha una frequenza 10 volte maggiore e tra il 30 e il 40% dei detenuti è ammalato di Epatite C. Dietro le sbarre sono inoltre più frequenti obesità, cattive abitudini alimentari e fumo. A lanciare l'allarme sono gli specialisti della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria (Simspe), riuniti a Torino per il XV Congresso nazionale.

Tra gli obiettivi del congresso, che si chiude oggi, quello di definire protocolli operativi nazionali che possano migliorare le condizioni di salute dei detenuti e l'assistenza sanitaria in carcere, in modo omogeneo in tutte le regioni. Ma anche di sensibilizzare l'opinione pubblica e la politica fornendo nozioni di base a medici non specialisti e infermieri sulle principali patologie carcerarie, attraverso corsi precongressuali.

Le priorità emerse dai lavori: l'Istituzione di un osservatorio epidemiologico sulla salute nelle carceri, intervento nei Lea sulla specificità carceraria, più prevenzione, più e-health e una revisione del Dpcm 1-4-2008.

Lo sforzo volto a fornire alla popolazione detenuta la migliore assistenza possibile - spiega la Simspe - passa dalla conoscenza delle principali problematiche di salute, all'intesa con gli operatori penitenziari, all'integrazione con la società civile.

L'attività della Simspe è infatti anche quella di creare consapevolezza negli individui, ponendoli di fronte a eventuali terapie e diagnosi. E a questo proposito il carcere rappresenta un'occasione importante per coinvolgere fasce di popolazione che altrimenti non terrebbero mai in conto il bene salute. "Il detenuto di oggi - spiega Sergio Babudieri, presidente della Simspe - è il cittadino di domani; in carcere si riesce a intercettarlo, fuori come si fa? L'importanza di una simile azione è poi testimoniata dai numeri: vari studi dimostrano che i pazienti positivi all'Hiv non consapevoli trasmettono il virus sei volte di più di quelli che sanno di esserne infetti».

La Simspe segnala tuttavia la difficoltà di ricreare modelli omogenei di assistenza data dalla frammentazione dei sistemi sanitari delle varie regioni: «le leggi attuali delegano l'assistenza sanitaria alle Asl - spiegano gli esperti - generando così sistemi organizzativi disomogenei nei 205 Istituti penitenziari italiani».

Per questo motivo si stanno formando piccoli gruppi di lavoro interprofessionali per lavorare nell'ottica dell'omogeneizzazione dell'offerta assistenziale nelle carceri italiane.


Le tare del sistema. La popolazione detenuta in Italia è cresciuta negli ultimi dieci anni dell'80%. «Tuttavia, spazi e strutture sono rimasti sostanzialmente invariati - sottolinea la Simspe - rendendo le condizioni dei carcerati ai limiti dell'invivibilità. La maggior parte delle carceri hanno dei tratti comuni: bagno e cucina nello stesso locale, cambio di lenzuola ogni 15 giorni, bagno alla turca o water separati gli uni dagli altri da un muretto alto appena un metro, strutture fatiscenti. Il personale è insufficiente, gli assistenti sociali sempre meno del necessario. L'assistenza sanitaria, come si può facilmente intuire da questo quadro, risulta di pessima qualità».

Sovraffollamento, strutture inadeguate, assistenza disomogenea. Ma non solo. Il problema da superare, secondo la Simspe, è quello della mancanza stessa di competenze: «Le Asl non hanno né i mezzi, né il know how necessario - continua la nota - per operare nei luoghi di restrizione della libertà. In epoca di spending review, con la sanità pubblica che subisce grossi tagli, le carceri appaiono come vittime predestinate ad appartenere a un sistema sanitario di serie B se non di serie C. Serve dunque una cabina di regia nazionale e non una frammentazione delle organizzazioni».

«La vera emergenza delle carceri italiane - dichiara Guido Leo, dirigente medico di malattie infettive all'ospedale Amedeo Savoia di Torino e presidente del congresso - è la mancanza di dati certi, che si traduce nella mancanza della possibilità di pianificare un intervento. Quando questo compito spettava al ministero della Giustizia, i dati, seppur scientificamente non rigorosi, erano comunque disponibili fornendo una base su cui ragionare; oggi il sistema delle Asl genera frammentarietà e, conseguentemente, confusione. L'unica fonte che si occupa attivamente di una raccolta dati a livello nazionale è la Simpse, una onlus che si occupa proprio di tutelare la salute dei detenuti, elaborando studi e numeri su questo tema».

La salute dei detenuti. Dai risultati delle ricerche che i dirigenti Simspe hanno presentato, è emerso che l'incidenza della Tbc in carcere è maggiore dalle 25 alle 40 volte rispetto alla prevalenza che ha nella popolazione generale; discorso simile per l'Hiv (10 volte) e le epatiti. Sergio Babudieri, presidente della Simspe, ha sottolineato come nella popolazione carceraria, tra il 30% e il 40% delle persone abbiano l'epatite C, mentre l'epatite B attiva si attesta intorno al 7%. L'infezione della tubercolosi invece, supera il 50% nei detenuti stranieri.


Da non sottovalutare poi gli aspetti psicologici: l'inevitabile depressione di chi è detenuto, ma anche alcuni rischi specifici. Ad esempio, per alcune categorie vi è la necessità di un approccio tipo psichiatrico: è il caso dei sex offenders, autori dei reati più ignominiosi, soggetti per una sorta di contrappasso a trattamenti massacranti da parte degli altri prigionieri; bisogna intervenire per tutelarli e curarli e per questo servono professionisti di altissimo livello.

"Questi numeri dovrebbero essere raccolti dallo Stato - evidenzia Babudieri - serve un Osservatorio nazionale di studi sulla sanità in carcere. Uno degli scopi del congresso - continua il presidente Simspe - è proprio quello di iniziare a ragionare sulla creazione di Raccomandazioni che possano poi essere presentate all'interno di un documento ufficiale e consegnate alle Istituzioni. Alcuni gruppi di lavoro si stanno già attivando su questo".


La Simspe può avvalersi dei contributi di altre associazioni, come la Societa' italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), co-patrocinante dell'iniziativa. Elemento di raccordo tra le due entità è Roberto Monarca, direttore scientifico e coordinatore dei corsi di formazione nella Simspe, e coordinatore Simit per gli studi sulle malattie infettive in carcere. "Il prossimo convegno di Torino - spiega Monarca - servirà per fare il punto sulle principali problematiche del carcere, dalle malattie infettive alle questioni psichiatriche, passando per le numerose patologie che interessano questa realtà".

Le priorità emerse dai lavori:


1.Istituzione dell' "Osservatorio Epidemiologico Nazionale sulla Salute in Carcere" presso l'Istituto Superiore di Sanità, quale momento di raccordo degli Osservatori Epidemiologici Regionali previsti dal DPCM 1-4-2008

2.Intervento sugli attuali "Livelli Essenziali di Assistenza" per adeguarne alcuni aspetti alle specificità penitenziarie

3.Interventi diretti a migliorare il controllo dell'infezione da HCV nelle carceri, attuale emergenza sanitaria

4.Promuovere iniziative e progetti di prevenzione nelle carceri, anche attraverso i Progetti Obiettivi PSN, i Progetti CCM ed un "Piano Nazionale della Prevenzione in Carcere" per specifiche problematiche sanitarie, non solo di pertinenza infettivologica

5.Revisione del DPCM 1-4-2008 nelle parti relative all'organizzazione dei servizi all'interno delle Aziende Sanitarie e al transito del personale ex L. 740/1970

6.E-health in carcere, attraverso l'informatizzazione del diario clinico e la sollecita attribuzione dei codici-struttura agli Istituti Penitenziari per adulti e minori, elemento indispensabile per integrare le attività sanitarie al Fascicolo Sanitario Elettronico nazionale, sostanziale per creare ed integrare la continuità diagnostico-terapeutica territorio-carcere-territorio.