Europa e mondo

ANTEPRIMA/ La grande crisi e le politiche sanitarie in Europa: cosa hanno fatto i Paesi Ue e la ricetta degli esperti

di Barbara Gobbi

Non c'è gestione della crisi che tenga, senza un chiaro disegno politico capace di guidare le scelte di economia sanitaria. Né le ricette di crudi tagli arrivate dall'esterno (leggi troika) in questi anni, per raddrizzare la schiena a Paesi al collasso, si sono rivelate davvero benefiche per la salute dei cittadini e per definizione di strategie di ampio respiro. È lapidario il giudizio contenuto nel policy summary "Economic crisis, health systems and health in Europe: impact and implications for policy", redatto da un gruppo di esperti dell'Oms Europa e dell'Osservatorio europeo sui sistemi e le politiche sanitari.
Lo studio considera l'impatto della crisi che dal 2008 ha cambiato la stessa prospettiva con cui l'Europa guardava alle priorità sanitarie: dalle preoccupazioni per gli anni a venire, a cominciare dall'invecchiamento della popolazione, alla sostenibilità dei sistemi nazionali nell'immediato. Non tutti, certo, hanno risentito dell'onda d'urto. Ma la ricerca - che prende in considerazione due step successivi di indagine, conclusi il primo a marzo 2011 e il secondo alla fine del gennaio 2013 e si focalizza sui casi studio Estonia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania e Portogallo - dimostra che la crisi ha comportato in tutti i Paesi più colpiti un immediato calo del Pil e soprattutto alti tassi di disoccupazione, che inevitabilmente hanno impattato sull'accesso ai servizi sanitari. La scelta di politiche di spesa pubblica anticiclica per tutelare la domanda e le preorogative della società non è avvenuta ovunque: tra 2008 e 2012 il pro capite è calato a Cipro, nella Repubblica Ceca, in Grecia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Romania e Regno Unito. In Italia, il calo si è registrato nel 2011 e 2012.
Nei Paesi in cui i tagli sono stati imposti dall'esterno, dove sono mancate leadership e vision forti, dove l'accesso universale all'assistenza sanitaria è rimasto collegato non al criterio della residenza ma ai contributi versati dai lavoratori (con la conseguenza che una volta perso l'impiego si esce drammaticamente anche dal sistema di welfare), dove le politiche fiscali hanno continuato a colpire indiscriminatamente le categorie più fragili e dove si è proceduto a tagli lineari senza puntare sull'efficienza, la crisi ha picchiato duro. I primi effetti sono soprattutto sulla salute mentale della popolazione: «l'evidenza – si legge nel report – generalmente suggerisce che disoccupazione e incertezza finanziaria aumentano il rischio di disagio mentale». Per non parlare dei suicidi, il cui trend dopo anni di calo è tornato a crescere in più d'un Paese. Anche se i veri effetti devono ancora venire: con ogni probabilità - è il monito - l'aumento della spesa out of pocket o il rinvio delle scelte di cura da parte delle famiglie mostreranno conseguenze visibili sulle finanzie e sulle condizioni generali di salute solo nei prossimi anni.
Non mancano però gli strumenti per provare a tracciare un futuro più roseo: intanto nel report si legge l'avvertenza, ai politici, di dotarsi di adffidabili sistemi di analisi e di gestione dei sistemi sanitari. Perché solo così sono pensabili strategie efficaci e di lungo raggio. Poi, serve investire su misure che taglino gli sprechi e aumentino l'efficienza, come le scelte che nella farmaceutica promuovono i prodotti equivalenti o le riorganizzazioni strutturali che puntano sulla ristrutturazione dell'assistenza ospedaliera e su una presa in carico efficace della cronicità. Anche l'Italia è avvertita.