Sentenze

Cartella clinica: vietato compilarla in ritardo

di Paola Ferrari

Commette omissione d'atti d'ufficio, previsto e punito dall'articolo 328 del Codice penale, comma 1, il primario responsabile del reparto, nella fattispecie ortopedico, che non compila e non controlla l'operato dei suoi collaboratori accettando l'imperfetta compilazione dei documenti clinici e il loro mancato inoltro, addirittura dopo anni, al servizio che si occupa del rilascio delle copie. Questa è l'opinione della VI sezione della Cassazione penale che nella sentenza n. 6075/2015 del 10 febbraio, pur annullando per avvenuta prescrizione il precedente di condanna della Corte d'appello di Catania, l'ha confermato nel merito ai fini civili.

La cartella clinica ha la funzione di garantire la compiuta attuazione del diritto alla salute, a prescindere dalla presenza di un'urgenza sanitaria conseguente alla prosecuzione del trattamento, posto che le conseguenze impreviste delle terapie somministrate ben potrebbero profilarsi a distanza di tempo e richiedere un immediato accertamento. Inoltre, il paziente che la richiede è titolare di un diritto alla ricezione tempestiva degli atti. Conseguentemente, la cartella clinica deve essere sempre formata senza ritardo, risultando sempre funzionale a ragioni di sanità. Del resto, data l'ampiezza della tutela riconosciuta al diritto fondamentale alla salute dall'articolo 32 della Costituzione, oltre che la tutela del diritto alla privacy, non appare possibile limitare il diritto dell'interessato all'immediato rilascio all'ipotesi di prosecuzione delle cure, poiché l'utente non è tenuto a esplicitare le ragioni della sua richiesta. In quest'ottica, il primario che sovraintende al reparto diventa responsabile della tenuta dei documenti del reparto che sovraintende.

«La supremazia del paziente sul diritto alle informazioni che lo riguardano», afferma la sentenza, è un diritto «incondizionato e non deve essere sorretto dall'illustrazione della causale» al pari dell'importanza clinica del documento che rappresenta, in maniera necessariamente congruente sul piano temporale con l'attività compiuta l'indicazione di tutti gli interventi effettuati sul paziente, e assolve a plurime funzioni, tutte fondate sulla necessità di ricostruire ex post, a qualsiasi fine, l'appropriatezza degli interventi. E questo al fine di valutarne gli effetti, la possibile sinergia con ulteriori iniziative sanitarie, e quindi consentire l'adeguatezza di queste ultime, tutte comunque ricollegabili alla tutela della salute intesa nella sua accezione più ampia, che prescinde dalle esigenze di intervento immediatamente successivo per la prosecuzione delle cure, e comprende il necessario dovere informativo nei confronti del paziente su quanto effettivamente somministratogli o eseguito durante il ricovero «e ciò», afferma la sentenza, «anche al fine di armonizzazione delle successive cure, e di individuare, per l'ipotesi di effetti negativi, le possibili cause».