Sentenze

Caso Englaro, il Consiglio di Stato respinge il ricorso della Lombardia: «L'alimentazione e l'idratazione artificiale sono atti medici». IL TESTO DELLA SENTENZA

di Rosanna Magnano

Il diritto a una morte dignitosa, sulla scorta del caso di Eluana Englaro, si consolida con un altro tassello. La decisione di somministrare al paziente l'alimentazione e l'idratazione artificiale è infatti in tutto e per tutto un «atto medico». E' quindi diritto del paziente o del suo tutore decidere di rifiutarlo o interromperlo, secondo quanto previsto dall'art. 32 della Costituzione. E la Regione guidata all'epoca da Roberto Formigoni aveva l'obbligo di garantire la sospensione delle terapie alla donna rimasta in stato vegetativo per quasi 18 anni. E' questo il cuore della sentenza del Consiglio di Stato n. 04460, depositata il 2 settembre 2014, con la quale il giudice speciale amministrativo ha respinto l'appello presentato dalla regione Lombardia contro la sentenza del Tar lombardo n 314 del 26/01/2009.

Il Tar lombardo aveva accolto il ricorso di Beppino Englaro, padre di Eluana - morta a Udine il 9 febbraio 2009 a seguito dell'interruzione della nutrizione artificiale - contro il provvedimento della Dg Sanità della Regione Lombardia del 3 settembre con il quale la stessa Regione respingeva la richiesta, formulata dal padre di Eluana, di mettere a disposizione una struttura per il distacco del sondino naso-gastrico che alimentava e idratava artificialmente la ragazza.

Eluana Englaro, fu infatti trasportata in Friuli nel febbraio 2009, alla clinica La Quiete di Udine, per vedere attuata la sentenza della Cassazione che autorizzava la sospensione del trattamento terapeutico e del sondino nasograstrico, e che la Lombardia si rifiutò di attuare.

«La decisione di somministrare al paziente l'alimentazione e l'idratazione artificiale - si legge nella sentenza del Consiglio di Stato - è, in tutto e per tutto, il frutto di una strategia terapeutica che il medico, con il consenso informato del paziente, adotta valutando costi e benefici di tale cura per il paziente, ed è particolarmente invasiva, per il corpo del paziente stesso, poiché prevede, nel caso della nutrizione enterale, addirittura l'inserimento di un sondino che dal naso discende sino allo stomaco o l'apertura di orefizio, attraverso un intervento chirurgico, nell'addome».

«L'inserimento, il mantenimento e la rimozione del sondino naso-gastrico o della Peg sono dunque atti medici», continua la sentenza. «E non possono in alcun modo essere considerati una forma di alimentazione sui generis, quasi un regime dietetico a parte, un surrogato dell'alimentazione e idratazione naturale».

Il nodo delicatissimo sollevato dalla Regione Lombardia è quello del «diritto a morire», che secondo l'appellante non trova spazio nel nostro ordinamento e soprattutto non è contemplato dalla complessa disciplina di settore, che regolamenta il Servizio sanitario nazionale, e tra i Lea, i livelli di assistenza sanitaria.

«La Regione trascura in questo modo però - si legge nella sentenza del Consiglio di Stato - che a base del proprio rifiuto di ricoverare l'assistito (per la rimozione del sondino ndr) essa ha inteso porre e imporre d'imperio una visione assolutizzante, autoritativa della "cura" e, in ultima analisi, al suo fondamentale e incomprimibile diritto di autodeterminazione terapeutica, quale massima estressione della sua personalità».

E ancora, «Certo - ed è quanto solo rileva ai fini del presente giudizio - non compete alla Regione far valere, rivestendo anticipatamente un ruolo difensivo, presunti profili di responsabilità del personale medico, con l'affermazione, implicita ma chiara, che eseguire la volontà del tutore significherebbe compiere un delitto, poiché tale affermazione, oltre che impropria, è errata, essendo tale comportamento scriminato, proprio come dimostra la vicenda in questione».

La sentenza, estremamente ricca e complessa, non mancherà di avere ripercussioni anche sulla spinosa questione del testamento biologico.