Sentenze

Cassazione penale: il medico non è colpevole anche in caso di imperizia se si attiene alle linee guida

di Manuela Perrone

La legge Balduzzi, pur a tratti «laconica» e «incompleta» e pur avendo perso «l'occasione per una disciplina compiuta della relazione terapeutica e delle sue patologie», ha comportato due grandi innovazioni. La prima: aver introdotto per la prima volta nell'ambito della disciplina penale dell'imputazione soggettiva la distinzione tra colpa lieve e colpa grave. La seconda: aver valorizzato le linee guida e le virtuose pratiche terapeutiche, purché corroborate dal sapere scientifico. In altre parole, «la colpa penale assume ora una duplice configurazione» e «viene abbozzato in ambito applicativo un indirizzo sia per il terapeuta che per il giudice, nel segno della documentata aderenza al più accreditato sapere scientifico e tecnologico». Indirizzo di cui si sentiva un gran bisogno.

È stata depositata il 9 aprile la sentenza n. 16237/2013 della Cassazione (presidente Brusco, relatore Blaiotta), di cui era stata data notizia a fine gennaio (si veda Il Sole-24 Ore Sanità n. 4/2013) . La Suprema Corte rilegge le novità normative con lo sguardo rivolto non alle imperfezioni ma agli aspetti positivi. E finisce per annullare con rinvio la condanna di un chirurgo di una clinica privata che, nel corso di un intervento per ernia discale recidivante, aveva leso la vena e l'arteria iliaca della paziente determinandone il decesso per una grave emorragia.

Chiaro l'invito ai giudici d'appello: valutare se all'epoca dei fatti esistevano direttive scientificamente accreditate in materia (al medico si contestava di aver violato la regola precauzionale di non agire in profondità superiore a tre centimetri) e stabilire se il fatto si collochi nella sottofattispecie abrogata o in quella vigente. «Posto che l'innovazione esclude la rilevanza penale delle condotte connotate da colpa lieve che si collochino all'interno dell'area segnata da linee guida o da pratiche mediche scientificamente accreditate», la Corte dovrà fare i seguenti passi: accertare se l'intervento si sia mosso entro i confini segnati dalle raccomandazioni, ove esistenti, e chiarire se nell'esecuzione vi sia stata colpa lieve o grave, valutazioni da cui discenderà l'esistenza o meno dell'elemento soggettivo del reato.

La Cassazione segnala in più punti l'importanza della valorizzazione delle linee guida, che «non danno luogo a norme propriamente cautelari e non configurano ipotesi di colpa specifica», ma rispondono alle «forti istanze di determinatezza che permeano la sfera del diritto penale». In presenza di «un sostanziale vuoto normativo» sulla responsabilità medica - si legge nella sentenza - e della specificità dell'attività dei camici bianchi («attività davvero difficile e rischiosa che merita una speciale considerazione»), «la scienza e la tecnologia sono le uniche fonti certe, controllabili e affidabili» per il giudice.

Ma da sole non bastano. Per questo il legislatore le ha rapportate «all'accreditamento presso la comunità scientifica», proponendo «un modello di terapeuta attento al sapere scientifico», ma anche capace di discostarsi dalle linee guida e di derogare quando è il caso. La loro osservanza - conclude la Cassazione - «costituisce uno scudo protettivo contro istanze punitive che non trovino la loro giustificazione nella necessità di sanzionare penalmente errori gravi commessi nel processo di adeguamenti del sapere codificato alle peculiarità contingenti». Una disciplina che «trova il suo terreno d'elezione nell'ambito dell'imperizia».