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ESCLUSIVA/ Ecoreati: la nuova normativa, i medici e i giovani imprenditori. Intervista al senatore Felice Casson (Pd)

di Rosanna Magnano

«Ecco fatta, nuovamente, l'Unità d'Italia». Quella che in nome del profitto a tutti i costi ha pagato e paga un prezzo altissimo in termini di salute sottratta ai lavoratori e ai cittadini, di vite umane, di ambiente massacrato. Un ritratto del Bel Paese deformato e di nuovo tristemente confermato al mondo dalla sentenza assolutoria degli imputati Eternit. O dai dati dello Studio Sentieri dell'Iss sugli eccessi di mortalità nei troppi Siti inquinati nazionali, con i numeri che riguardano i tumori infantili e i bimbi nati con malformazioni a Taranto, all'ombra dell'Ilva, la più grande acciaieria d'Europa.

Un'Italia meravigliosa, eppure abusata senza scrupoli da Porto Marghera a Brindisi, da Priolo a Ferrara, da Monfalcone a Porto Torres. Nella riedizione del suo libro «Le fabbriche dei veleni» (La Toletta edizioni, 2015), Felice Casson - pubblico ministero del grande processo al Petrolchimico veneto, senatore del Pd e ora in corsa come candidato sindaco di Venezia - ripercorre le tappe della gigantesca inchiesta giudiziaria, condotta da un capo all'altro del mondo alla ricerca di documenti che confermassero la cancerogenicità del Cvm (Cloruro di vinile monomero) usato per fabbricare il Pvc, la plastica. Carte che hanno poi rivelato l'esistenza di una «illegal conspiracy by industry» internazionale volta a insabbiare le evidenze scientifiche e a sottrarsi a ogni responsabilità. Un racconto avvincente, ma anche angosciante e commuovente, intriso di umanità e passione civica. Una metafora delle tante, troppe Porto Marghera. Ora l'Italia potrebbe essere a un punto di svolta, con l'approvazione, attesa dalla Camera (il provvedimento è calendarizzato in aula per il 27 aprile prossimo), del Ddl sugli ecoreati.

Senatore Casson, sono vent'anni che si tenta di introdurre i reati ambientali nel codice penale italiano. Forse ci siamo. Che cosa è cambiato? È un buon disegno di legge?

Ci abbiamo provato nelle passate legislature. Con l'ultimo governo Berlusconi, un disegno di legge analogo è stato presentato e messo direttamente nei cassetti. Ci abbiamo riprovato anche in questa legislatura. L'esame è partito dalla Camera. Al Senato, nel febbraio 2014, è arrivato un testo positivo ma con carenze tecniche. In commissione Giustizia e Ambiente abbiamo provato a introdurre delle modifiche. Sono state svolte una serie di audizioni molto interessanti con le categorie e le associazioni ambientaliste, da Legambiente a Medicina democratica, che poi hanno fornito contributi specifici. Il testo nella sua impostazione generale è rimasto quello della Camera dei Deputati con alcune integrazioni. Avremmo preferito delineare in maniera più corretta il concetto di danno ambientale, disastro ambientale e di rischio. Ma al Senato c'è una situazione numerica di maggioranza di governo non solida e abbiamo dovuto trovare dei punti di compromesso. Siamo arrivati a un risultato tutto sommato accettabile ed equilibrato, anche se alcuni problemi tecnici certamente rimangono.

Qualcuno ha parlato di un testo un po' debole...

Bisogna fare i conti con i numeri che si hanno. Soprattutto il Nuovo Centro destra ha lavorato per non far approvare il provvedimento in aula.

Nonostante il «compromesso» raggiunto, il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ritiene che il ddl non tuteli le imprese perché «non distingue tra chi ha un incidente e si attiva subito per riparare e chi inquina per scelta criminale». Insomma il confine tra errore e dolo sarebbe troppo sottile.

Questo giuridicamente è un timore infondato. Ci sono delitti dolosi ben individuati e le situazioni colpose sono considerate in maniera autonoma e separata. Quindi il dolo è ben distinto dalla colpa. Poi starà all'interprete utilizzare nella maniera migliore possibile queste norme.

Il ruolo del medico nelle inchieste giudiziarie sui crimini ambientali è importantissimo ma può essere fortemente ambivalente. Nella sua inchiesta sul petrolchimico di Porto Marghera ha trovato professionisti coraggiosi come Pier Luigi Viola o Cesare Maltoni ma anche medici complici e silenziosi, all'interno delle aziende o sul territorio...

Soprattutto per quanto riguarda le malattie professionali il fatto di lavorare all'interno di determinati ambienti di lavoro di lavoro a contatto con sostanze corrosive e magari cancerogene è sempre rappresentato come una situazione di pericolosità. In passato l'attenzione è stata molto molto limitata ed erano rari i medici che cercavano di riportare la situazione a livelli minimamente accettabili.

Sicuramente negli anni recenti la situazione è cambiata. Sia perché sono state introdotte alcune norme speciali ma anche perché c'è stato un cambio di sensibilità culturale: la tutela dell'ambiente di lavoro in fabbrica è considerata un elemento che deve essere sempre tenuto in conto.

Basta vedere l'esempio che conosco di più, quello di Porto Marghera: pur essendo diminuiti notevolmente il numero di operai e le situazioni a rischio, non ci troviamo certo nello steso contesto degli anni '70 o '80.

I controlli sono da sempre un tasto dolente. C'è chi sostiene che aver sottratto ai dipartimenti di prevenzione delle Asl le competenze sui controlli ambientali - divaricando quindi i due aspetti salute-ambiente - non sia stata la scelta giusta. Lei che ne pensa?

È il punto per certi versi più delicato. Possiamo adottare norme positive sotto ogni punto di vista ma se non hai il sistema dei controlli e delle verifiche preventive le norme sono destinate a essere violate con conseguenza anche gravi. E quindi deve funzionare il sistema complessivo dei controlli: sia quelli della magistratura sia delle parti di competenza.

Da che cosa dipende quindi il buono o cattivo funzionamento dei controlli?

Dipende innanzitutto dagli uomini perché nel tempo abbiamo visto che anche in situazioni pericolose le persone hanno fatto la differenza. E da norme chiare, che non siano in contraddizione tra loro. Ma dipende anche da un mandato esplicito della politica: è importante che ci sia una Regione o un Comune che predisponga i controlli. Le norme ci sono e ci saranno soprattutto con l'introduzione dei delitti ambientali, ma le verifiche non vanno annacquate ed è importante che ci sia la volontà di farle con regolarità. Inviare un'ispezione ogni 30 anni è come un invito a fare ciò che si vuole.

Quanto incide la corruzione sui delitti ambientali?

Abbiamo ancora all'esame del Senato la vicenda che riguarda l'ex ministro dell'Ambiente Matteoli proprio per questioni connesse alle bonifiche di Porto Marghera. Almeno stando delle contestazioni della magistratura la corruzione è arrivata ai massimi livelli istituzionali ed è penetrata praticamente dappertutto, attraverso i vari gangli dello Stato.

Quindi che si fa?

Quindi va bene che il Senato esamini proprio in questo periodo la normativa anticorruzione e che anche su questo fronte si apra una fase normativa penale positiva. Però gli aspetti fondamentali sono altri due: promuovere un'istruzione e una cultura ambientale diffuse ma anche far funzionare i meccanismi della prevenzione.

Il degrado ambientale e il disprezzo per la salute umana sono diffusi a livello mondiale e il quadro, che lei tratteggia nel suo libro, è desolante. Ci sono esempi virtuosi o segnali positivi di cambiamento?

Certamente. Ci sono esempi positivi soprattutto da parte di imprenditori giovani. Ormai c'è una considerazione diversa della tutela ambientale e dei costi che comporta. Questo è un cambiamento fondamentale. Nessuno dovrebbe ritenere i costi ambientali come un peso greve, puro e semplice. Gli investimenti in prevenzione andrebbero proiettati in prospettiva, come una diminuzione dei costi futuri. Se pensiamo che cosa significa per una società nel suo insieme non fare prevenzione ambientale e quindi consentire che l'ambiente venga disastrato e che ci siano morti sul lavoro o tra i cittadini, così come è successo per l'amianto, ci rendiamo conto che i costi che tutto questo comporta sono di gran lunga superiori a quelli che si sarebbero dovuti sostenere inizialmente per la prevenzione ambientale.

Ora l'aspetta la sfida come candidato sindaco di Venezia. Si è stancato di fare il senatore?

Bhè sono nove anni, mi pare abbastanza. E soprattutto a Venezia dopo la vicenda Mose e Consorzio Venezia nuova c'è la necessità di ripartire con una classe politica diversa che abbia idee nuove e che decida di lavorare in materia di lavori pubblici e appalti in una logica di trasparenza e pulizia.