Dibattiti-e-Idee

Farmacie e liberalizzazioni: caro Salerno sbagli di grosso

di Federico Spandonaro

Caro Direttore,
ho letto con interesse il contributo di Salerno sulla quantificazione degli effetti della riforma delle farmacie ("pacchetto Guidi"), pubblicato il 22 di Gennaio. Credo però sia necessaria una ulteriore riflessione sulla "robustezza" di alcune delle meritorie quantificazioni e ancor più su alcune "conclusioni" che ne deriverebbero.

Molte osservazioni, che condivido appieno, sono state già evidenziate da altri (Gianfrate). Qui vorrei aggiungere un paio di ulteriori elementi.
Prima di riferire le mie perplessità ritengo però necessario anticipatamente dichiarare i miei "potenziali conflitti di interesse", che in materia si identificano nell'avere nel passato coordinato una ricerca finanziata da Federfarma: siamo ricercatori indipendenti ma il tema è di quelli su cui si innescano guerre ideologiche (Gianfrate, in modo più colto ed elegante di me, lo cita come una "saga shakespeariana tra consanguinei"), e dato che il Paese è spesso vittima di diffidenze e retro-pensieri, è meglio eccedere in "trasparenza".

Ciò detto, dalla ricerca che ho condotto ho appreso, confesso non senza una certa sorpresa, che il mondo delle farmacie è più vario di quanto non si pensi: se ancora per alcune i margini sono certamente rilevanti, per altre la situazione è critica: lo dice anche Gianfrate segnalando come i costi di gestione tendenzialmente aumentino, mentre il mercato si restringe fortemente.

Nella ricerca condotta con il mio team (ormai vecchia di un paio d'anni) emergeva come per una ipotetica farmacia media, il mercato del Ssn (classe A) non possa garantire margini; si arriva più o meno a un punto di pareggio con l'aggiunta della classe C e che, quindi, già ora è l' "extra-farmaco etico" quello che tiene economicamente in piedi la rete.

Va da sé che per il segmento sotto la media, e quindi le farmacie più piccole, la diseconomia di scala rende in prospettiva molto difficile la sopravvivenza.

La regolamentazione non può quindi prescindere dal valore che ha l'esistenza di una rete di distribuzione diffusa, tale per cui è stato anche giuridicamente riconosciuto alle farmacie il carattere di presidio territoriale del Ssn: non vorrei che i risparmi ottenuti in qualche segmento possano diventare forieri di costi per sussidiare le farmacie delle aree più disagiate, o di costi impliciti per le famiglie.

Aggiungo che non vorrei che persistesse l'equivoco che classe C e A fossero nella sostanza cose diverse: entrambe riguardano farmaci etici e non vedo ragione logica per cui debbano/possano essere "gestiti" (intendo in termini di sicurezza/qualità) della distribuzione, in modalità diverse.

Ma a parte questo, che mi sembrava però doveroso ricordare, se ci concentriamo sulle quantificazioni dell'impatto della "liberalizzazione", l'assunto delle stime è l'applicazione degli sconti registrati nel canale parafarmacie e grande distribuzione, in segmenti del tutto diversi, quali Sop non da automedicazione e Otc, anche a classe A e C; parliamo di sconti ottenuti su segmenti non solo del tutto diversi ma, come riportato nel paper, su meno del 10% del mercato, quindi su una quota selezionata (certamente anche in funzione della possibilità di avere vantaggi competitivi) di prodotti … francamente trovo lecito dubitare della trasferibilità di questi valori; nulla vieta ovviamente di pensare che invece possano registrarsi e magari anche in misura maggiore, ma siamo nel campo delle opinioni personali.

Aggiungerei che, per quanto mi consta, parte dello sconto va anche attribuito a condizioni normative non uniformi, a partire dall'obbligo (solo per le farmacie) di garantire la disponibilità di ogni prodotto, per finire ai contratti di lavoro (più onerosi per i dipendenti delle farmacie). Come dire che se si aprisse a una maggiore concorrenza, ma su basi fair, è facile che alcuni gap si riducano significativamente.

Ancor più perplesso sono poi dell'applicazione dello sconto alla classe A, perché il ragionamento in media mi sembra nasconda grandi problemi equitativi.

Posto che funzioni, avvantaggerebbe le strutture più grandi (ivi comprese le farmacie più grandi) e non certo quelle che oggi faticosamente garantiscono la prossimità del servizio nei centri più piccoli e andrebbero sussidiate: poi non capisco, dato che il cittadino paga il ticket e non l'intero farmaco, come incamererebbe lo sconto; e, da ultimo, sinceramente non mi piacerebbe pensare ai costi della "migrazione" delle famiglie costrette a spostarsi per trovare condizioni più favorevoli.

Ha ragione Gianfrate (almeno mi pare di avere interpretato così, che si può razionalizzare il costo della distribuzione, ma con meccanismi centralizzati che difendano le condizioni di uniformità dell'accesso sul territorio).

Infine non mi trova convinto neppure l'ipotesi di trasformare i risparmi in una possibilità di maggiore compartecipazione sui farmaci, per di più esteso anche alla classe H: a parte le evidenti difficoltà di applicazione a quest'ultima classe, pur essendo in generale favorevole alle compartecipazioni, sono contrario alle politiche dei silos: il ragionamento sulle compartecipazioni, e in particolare sulle esenzioni, va fatto complessivamente su tutta la spesa out of pocket, non su un singolo segmento, onde evitare impatti distorti sulle famiglie o che diventi una odiosa tassa sulla malattia.

Insomma, una riforma è certamente necessaria, non fosse altro perché il mercato è completamente cambiato, al punto che chi qualche anno fa giustamente si opponeva ai margini di distribuzione in percentuale del valore delle scatole consegnate, oggi è costretto a riconoscere che la situazione si è capovolta in quanto il mercato è ormai in larghissima parte composto da scatole di minimo valore, tanto che la percentuale sarebbe oggi conveniente per il Ssn.

Insomma è necessaria una riforma in generale del ruolo della distribuzione, da farsi sia decidendo una volta per tutte se affermazioni come quella riportata in documenti istituzionali che ipotizzano la farmacia dei servizi debbano realizzarsi e come, sia evitando di cadere nell'equivoco delle "liberalizzazioni facili", che assumono schemi mentali tipici delle commodities, quali i farmaci non sono, e comunque ritengo sia bene non diventino. Sperando di avere contribuito alla riflessione, la saluto cordialmente.