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RAPPORTO OASI 2014/ Le grandi sfide raccolte e l'orizzonte del cambiamento possibile

di Lucilla Vazza

Fare i conti non basta più: l'epoca dei ragionieri è al tramonto, come quella dei manager "lacrime e sangue": d'ora in poi dovranno vincere cervello (cuore) e buon senso. L'analisi che il Cergas Bocconi fornisce ogni anno nel Rapporto Oasi, riesce non solo a fotografare i numeri della sanità italiana, ma consente di focalizzare immediatamente le questioni essenziali: ciò che va, ma soprattutto ciò che non va, e dove affondare la lama del bisturi. Per voltare pagina occorre mettere mano a qualcosa che va oltre le cifre: un cambio di mentalità che passa certamente attraverso le maglie strette della riorganizzazione dei servizi, ma purché sia fatto con occhi nuovi. Perché non c'è niente di peggio che immaginare il futuro con l'animo del passato.
Le azioni programmatiche del Patto della salute 2014-2016, parlano chiaro, ma le scelte operative quali saranno? in quale sanità ci stiamo incamminando? Le soluzioni di oggi dovranno avere il coraggio dello smantellamento unito a una straordinaria saggezza. E la saggezza passa da concetti "tecnici" che nel tempo stanno acquistando uno spessore di pratica quotidiana. Per fare un esempio, qualche anno fa si parlava di «meno ospedale e più territorio» e forse qualcuno si sentiva "avanguardista". Oggi sappiamo, perché lo abbiamo constatato nella pratica, che un anziano, un cronico, un bambino è meglio che siano curati a domicilio: costano meno, si curano più efficacemente, si genera meno spreco. Territorio significa anche sempre più infermieri e meno medici, con buona pace delle rendite di posizione.
Il banco della non autosufficienza resta il Moloch di oggi e il macigno che incombe sul futuro della sanità. Nei prossimi anni, un esercito crescente di cittadini sempre più vecchi sarà lì a presentare il conto delle scelte che devono avvenire oggi. E Oasi 2014 lo indica con chiarezza, è stato già tagliato molto, ora bisogna definire le priorità. Le massicce azioni di «razionamento» garantiscono qualche anno di sostenibilità, ma non possiamo illuderci: questi interventi non saranno risolutivi, ma un tentativo bisogna farlo per migliorare i livelli di copertura dei bisogni, attraverso una migliore definizione delle priorità e dei modelli di allocazione delle risorse.

Passare alla fase B
. Il Cergas pone una domanda diretta ai dirigenti del Ssn: avendo ormai raggiunto il sostanziale pareggio di parte corrente, come smaltire efficacemente debiti e contenziosi pregressi? Ed è qui che il ragioniere deve lasciare il posto al gestore oculato ma dal cuore d'oro: è meglio centralizzare il contenzioso a livello regionale (col beneficio di controllare e sistemare tutto dall'alto) o lasciare la responsabilità alle singole aziende (col rischio di far affogare i servizi delle inadempienti)? In questi anni, come in una grande aula scolastica: ci sono le aziende diligenti, le prime della classe e quelle destinate a essere sempre indietro. In ogni caso, seguendo (e subendo) le politiche di cesoia, chi più e chi meno ha prodotto micro-aggiustamenti o macro-riordini. Sulle spalle delle Asl è pesato tutto il cambiamento operativo: hanno sopportato accorpamenti e tagli, cercando sempre il modo di uscire dal guado convincendo gli interlocutori di sapere esattamente dove andare. Uno sforzo incessante, a volte spedito, a volte goffo, per il Cergas ha creato un serbatoio di best practice a cui sarebbe ora che, chi di dovere, attingesse per ripensare i servizi. Ogni territorio ha espresso le sue soluzioni e ha garantito anche nelle Regioni più stressate dai vincoli dei Piani di rientro che le cose funzionassero e che i pazienti ricevessero le cure al meglio possibile. Questo significa che una ricetta unica non funziona: ogni territorio esprime contemporaneamente problemi e soluzioni e questi margini di manovra devono poter restare anche nella sanità di domani. A questa esigenza di "modularità" fa da specchio il bisogno che siano riconosciuti i meriti a chi ha trovato soluzioni ai problemi. I manager della sanità pubblica hanno stipendi congelati o in riduzione, a fronte di responsabilità crescenti. E questo rischia di far perdere motivazione. Oggi, dopo tagli e accorpamenti, abbiamo Asl di dimensioni gigantesche su cui insistono Irccs, policlinici, strutture universitarie. Il modello della vecchia Unità sanitaria è tramontato da un pezzo e l'Italia delle Asl racconta oggi la storia del Paese più di mille telegiornali. È ora che la politica ne prenda atto.

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