Dibattiti-e-Idee

INTERVISTA/ Parla Renato Balduzzi: «Su federalismo e sanità, più autonomie responsabili»

di Roberto Turno

La sfida della sostenibilità. I due nodi aperti degli standard ospedalieri e del territorio. La riforma in marcia del Titolo V che lascia parecchio a desiderare. Il ruolo dell'Agenas. E tanto altro ancora. Dice la sua apertamente e francamente il professor Renato Balduzzi nel "dopo Patto". Da ex ministro della Salute, che tanti dei cambiamenti ora in pista li ha "cullati" da ministro della Salute nel Governo del professor Monti. Ma anche, adesso, da presidente della bicamerale per le questioni regionali: quella commissione che proprio di Regioni si occupa, del federalismo e fatalmente (e implicitamente) della sanità, parte preponderante dei bilanci locali e dunque dei rischi di default per chi governa male la cosa e la salute pubblica.

Presidente Balduzzi, la sanità è in una fase di cambiamento: nuovo Patto della salute, modifiche costituzionali in itinere del riparto di competenze tra Stato e Regioni, discussione sulla sostenibilità del Ssn. Da ex-ministro, e naturalmente anche come presidente della bicamerale per le questioni regionali, come vede la situazione?

Cominciamo dal Patto. È importante che, superato finalmente lo scoglio delle risorse che da anni impediva l'accordo, l'intesa sia stata siglata. La sanità, quella vera, non quella delle false rappresentazioni che talvolta ci facciamo, va avanti. Questo mi sembra il dato di fondo. Certo, potremmo chiederci quale sia il senso vero delle disponibilità regionali ad accettare di ridurre notevolmente i loro margini attuali di autonomia. Una prima spiegazione è che ciò sia collegato alla convinzione diffusa che ci sia bisogno di più "centro" e di più controlli. Anche il nuovo Titolo V in preparazione va in questa direzione. Ma temo una seconda, e concorrente, spiegazione. E cioè che le Regioni, dopo una stagione difficile di continui richiami da parte dello Stato sulle loro responsabilità, abbiano preferito che ora sia ridotta la loro autonomia, ma anche la loro responsabilità: se questo timore fosse vero, allora all'approccio del Patto corrisponderebbero una perdita di responsabilità delle Regioni e un improbabile vantaggio della sanità complessiva. Ma spero che non sia così, perché l'Italia non ha bisogno di centralismo, ma di autonomie responsabili.

Tra i contenuti del Patto, alcuni la riguardano da vicino perché promossi ed elaborati proprio da Lei quando era ministro. Mi riferisco soprattutto agli standard ospedalieri e alla riforma della medicina generale: ci si riconosce ora nel testo del Patto su questi temi cruciali per il Ssn?

Sugli standard ospedalieri è stato recepito il lavoro già elaborato dal Governo Monti e c'è l'intesa sul relativo regolamento. Il Patto non precisa la natura degli standard, e cioè se essi siano una rigida indicazione cui attenersi senza eccezioni, ovvero se rappresentino un target di riferimento importante da cui discostarsi solo per rilevanti e motivate considerazioni. Il senso di questi standard, che costituiscono una vera e propria rivoluzione della sanità e che andranno completati con quelli sull'attività sanitaria territoriale, è di tendere alla riduzione della variabilità interna del sistema. Essi devono andare di pari passo con una forte capacità di programmazione. Sotto questo profilo è assai importante che la Commissione affari costituzionali della Camera, accogliendo un emendamento presentato anche da me, abbia eliminato una previsione poco meditata del decreto legge 90 sulla pubblica amministrazione, che intendeva sopprimere il potere di verifica regionale sulle autorizzazioni a realizzare nuove strutture sanitarie o socio-sanitarie: è necessario che anche le Regioni meno efficienti siano invitate a fare buona programmazione sanitaria, non l'inverso!

La riforma della medicina generale sembra invece faticare. Perché?

A onor del vero, l'impianto del decreto legge 158/2012 (il cosiddetto "decreto Balduzzi", ndr) ha retto alla prova e il Patto contiene proposte interessanti che razionalizzano il settore, imponendo l'istituzione delle due forme organizzative - le Uccp, cioè le unità complesse di cure primarie, e le Aft, aggregazioni funzionali territoriali - già allora disegnate. Le prime dovrebbero riorganizzare le cure primarie coinvolgendo sia i presìdi specialistici sia i medici di medicina generale. Le seconde invece sostituiranno ogni forma di aggregazione associativa esistente e ne faranno parte sia medici convenzionati che dipendenti. Resta il problema della cogenza delle clausole del Patto, ma questo vale per tutti i suoi contenuti.

Il Patto si richiama, nella parte introduttiva, alla riforma in itinere del Titolo V della Costituzione, su cui la Commissione per le questioni regionali, che Lei presiede, ha fatto presente tempo fa alcune preoccupazioni. Le conferma?

Noi abbiamo chiesto di valutare soprattutto due cose. La prima è che, sopprimendo la legislazione concorrente e introducendo clausole di riparto a dir poco generiche (quali le «disposizioni generali e comuni»), si rischia di far ripartire il contenzioso, oggi praticamente superato nelle materie di legislazione concorrente, se si eccettua la tematica del coordinamento della finanza pubblica, che opportunamente tornerà allo Stato. La seconda, invece, è che il vero nodo da sciogliere non è di scegliere tra più centralismo statale o più autonomia regionale, ma di raggiungere un equilibrio tra l'esigenza dello Stato di non subire i ritardi delle Regioni nell'attuazione delle proprie leggi e quella delle Regioni di esercitare meglio la propria autonomia. Si tratta di questioni che restano aperte.

Oltre il Patto, anzi in qualche modo "dentro il Patto", implicitamente, c'è poi la sfida della sostenibilità, la necessità di trovare nuove risorse al di fuori del finanziamento tramite la fiscalità generale. Il presidente Monti sollevò il problema, e da qualche parte si sollevarono contestazioni di "lesa maestà" al Ssn. E anche Lei, accanto al "suo" presidente del Consiglio, pose francamente la questione sul tappeto. Peccato che non arrivarono risposte...

Io avevo ricordato in più occasioni due semplici dati di fatto: il primo, che i sistemi che funzionano meglio sono quelli che, in sanità, evitano di parlare e far pratica di due "pilastri", ma che cercano di integrare il pilastro scelto, senza farne venir meno l'essenzialità; il secondo, che la spesa out of pocket è in crescita, e dunque va governata. Se impostata così, la questione della sostenibilità può aiutare il sistema sanitario. Diversamente rischiamo una sanità pubblica di minor qualità e la demotivazione del privato più efficiente.

In questi mesi c'è stata battaglia attorno all'Agenas, l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Lei, prima di fare il Ministro, ne è stato presidente e l'ha sempre valorizzata. Oggi che cosa si sente di dire?

Non entro nel merito delle singole persone e delle scelte. Mi limito a constatare che la stessa denominazione dell'Agenzia ci aiuta a capirne il ruolo di soggetto terzo tra Ministero e Regioni: non è un caso che ci sia la sottolineatura del suo carattere "nazionale" e che la sua mission sia orientata ai servizi sanitari regionali (il "per"). Credo che il Parlamento debba vigilare affinché questa terzietà dell'Agenzia non vada perduta. C'è poi il problema delle funzioni prevalenti: esse vanno rivolte alla creazione di modelli di valutazione e alla produzione di expertise nella valutazione, piuttosto che limitarsi a delineare una funzione di controllo vaga e disarmonica rispetto ai compiti di ricerca applicata sull'organizzazione dei servizi sanitari.