Cittadinanzattiva: cronicità, curarsi è un «lusso»

La prevenzione? Un di più. Le cure di routine? Se si può si rinviano o si cerca di farne a meno. E le malattie croniche o rare? Un "lusso" che gli italiani non possono davvero più permettersi, non solo di curare ma neanche di "dichiarare". Ad esempio in ambito lavorativo.

La notizia - quando giorno dopo giorno non fanno che fioccare aggiornamenti sul numero di cittadini che rinunciano alle cure - forse non sorprende. Merita però d'essere sottolineata e "digerita" quando a segnalarla sono 34 organizzazioni di persone affette da patologia cronica o rara e loro familiari che hanno contribuito alla stesura del XII Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità messo a punto da Cnamc di Cittadinanzattiva, presentato oggi a Roma.

«Ritardare o rinunciare alle cure necessarie, perdere il posto di lavoro, confrontarsi con la crisi dei redditi familiari e con le discriminazioni regionali nell'accesso alle prestazioni socio sanitarie è ciò che vivono sulla propria pelle i cittadini grazie ad anni di politiche di disinvestimento del Welfare e di erosione dei diritti. Non possiamo accettare che per "fare cassa" si continui a smantellare il Ssn o peggio ancora a svendere i diritti dei cittadini alla salute, al lavoro e all'inclusione sociale», dice Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato, che ha presentato a Governo e Parlamento le richieste dei pazienti. Prima tra tutte l'eliminazione dell'«insopportabile» norma - prevista anche dal nuovo Isee - che considera le indennità di invalidità civile e di accompagnamento "fonti di reddito" da considerare nel computo dei redditi familiari.

Le criticità
Il danno e la beffa, per i pazienti. L'84% delle associazioni dichiara che i pazienti non riescono a conciliare l'orario di lavoro con le esigenze di cura ed assistenza; il 63% ha ricevuto segnalazioni di licenziamenti o mancato rinnovo del rapporto lavorativo per i malati (41% per i familiari caregiver). E ancora: il 60% dei pazienti denuncia difficoltà nell'ottenere permessi retribuiti dal datore di lavoro; il 45% nella concessione del congedo retribuito di due anni; il 49% evita di chiedere ciò a cui per legge avrebbe diritto; il 43% nasconde la malattia per non correre rischi e il 40% si accontenta di svolgere un lavoro non adatto alla propria condizione. E la fame di lavoro - per il cronico che ce la fa - è una condizione obbligata: ciò che serve alla cosiddetta prevenzione terziaria - diete particolari, attività fisica, dispositivi e tutto ciò che è utile per evitare le complicanze - costa in media al malato e/o alla sua famiglia -1.585 euro l'anno, più di mille euro per visite ed esami a domicilio, o ancora in media 3.711 euro l'anno per adattare la propria abitazione alle esigenze di cura. Altro che cumulo dei redditi.

Ritardi diagnostici
In Italia coll Welfare disastrato il 75% delle associazioni testimonia pesanti ritardi nella diagnosi: in media da uno a sei anni. Record poco invidiabile una sindrome di Bechet diagnosticata in appena 33 anni. Tutto dipende da quanto è rara la patologia, certo. Ma anche dal medico che incontri. E c'è sempre un gradiente Nord-Sud che fa la differenza. Vale per l'accesso alle terapie, ma vale anche per la protesica, l'assistenza domiciliare, la riabilitazione. Passi per i casi acuti: magari i soldi te li fai prestare da parenti e amici e - frontiere aperte - vai pure a curarti all'estero, dicono le cronache sanitarie dei tempi che corrono.

Invalidità civile, percorso a ostacoli
Secondo il rapporto nel 2012 c'è stato un picco esponenziale delle difficoltà di accesso ai benefici per il riconoscimento di handicap grave (79% nel 2012 con un aumento del 44% rispetto al 2011) e la concessione del contrassegno per invalidi (33% nel 2012, +16% rispetto al 2011). L'unica voce positiva e che segnala quindi una diminuzione è l'indennità di accompagnamento (70% nel 2012, -7% rispetto al 2011).
Per disabili e famiglie si è attivato un circuito "paradossale": da un lato infatti lo Stato scarica l'onere assistenziale sulla persona con disabilità e sulla sua famiglia, ma nello stesso tempo non riconosce il diritto dei familiari di prendere i permessi lavorativi necessari per l'assistenza.

Il percorso ad ostacoli inizia subito, a partire dalla presentazione della domanda: nonostante l'entrata in vigore nel 2010 delle norme di semplificazione il 68% delle associazione afferma di non aver riscontrato né semplificazione, né riduzione dei tempi. Non cambia, spiega il rapporto, «ma anzi peggiore leggermente rispetto al 2011 il clima di ispezione e quasi vessazione nei confronti delle persone affette da patologia cronica e rara». Il 65% degli operatori, infatti, sostengono che i propri assisititi hanno subìto doppia visita da parte di Asl e Inps per il riconoscimento dell'invalidità (+5% rispetto al 2011). Singolari anche le modalità di convocazione per le visite che, come è noto, dovrebbero essere recapitate agli interessati tramite raccomandata. Fioccano invece le convocazioni via sms (59%), lettera per posta ordinaria (47%), telefonate (29%) ed e-mail (18%). C'è anche chi si è ritrovato un messaggio sulla segreteria telefonica (12%).

Indennità di accompagnamento
L'accanimento nei confronti di chi è realmente invalido continua anche – dice il rapporto – nell'inasprimento dei criteri di accesso all'indennità di accompagnamento, segnalato dall'82% delle associazioni. Secondo il 74% degli interpellati i criteri di riconoscimento dell'handicap grave sono stati inaspriti ulteriormente: solo il 26% risponde negativamente alla domanda. Morale della storia, secondo i dati della Corte dei conti dalla presentazione della domanda alla chiusura dell'iter, ci vogliono 276 giorni per l'accertamento dell'invalidità, 325 per la cecità civile e 344 per la sordità.

«Chi approfitta con la complicità di medici Inps e Asl di una falsa certificazione di invalidità e del riconoscimento di un handicap grave – tiene a precisare il rapporto – deve essere punito con la massima severità». Ma il fenomeno in realtà a guardare i dati della Guardia di finanza è meno diffuso di quanto si immagini. Su circa 2,8 milioni di invalidi civili sono 1.047 quelli accertati dalle fiamme gialle come "falsi", cioé lo 0,04%. Non solo: si spende più a stanarli che a "pagarli". Il rapporto sull'invalidità civile e la burocrazia 2013 sempre di Cittadinanzattiva stima una spesa di 58 milioni bruciata nella caccia ai falsi invalidi: 24 milioni per i ritardi degli iter burocratici, 34 milioni per la spesa dei medici convenzionati Inps.