Dal governo

Patto per la salute con 7,6 miliardi in più. La rivoluzione dei ticket: legare il pagamento ai redditi effettivi degli italiani

di Roberto Turno (da Il Sole-24 Ore)

La prima spending l'ha fatta approvare ieri in Consiglio dei ministri cancellando i tre dipartimenti del suo ministero e preparando il posto a un nuovo segretario generale. Razionalizzazioni, efficienza, risparmi, la parola d'ordine. Ma Beatrice Lorenzin, a stretto contatto di gomito con i governatori, per il Servizio sanitario nazionale sta confezionando col «Patto per la salute» una ricetta che non è esattamente tutta lacrime e sangue. Da una parte, affidandosi al Def, con incrementi monstre nel 2015-2016: +3,5 mld il primo anno, +4,1 il secondo. In tutto 7,65 mld nel biennio, +7% rispetto ai 109,9 mld di quest'anno.

Ed ecco poi la seconda mossa: fermare i tavoli sulla spending review allestiti da Carlo Cottarelli anche per la spesa di asl e ospedali. Perché la spending la farà il «Patto» – Governo e regioni – e la farà sul serio, è la promessa del ministro e delle regioni. Ma sia chiaro: qualsiasi risparmio resterà in sanità. Tutto nel Ssn: che dovrà investire, riorganizzarsi, cambiare rotta. Con più fondi in cassa, chiaro.

Per ora è solo una bozza, ma è scritta nero su bianco e sia Lorenzin che i governatori ci puntano forte per chiudere il «Patto» tra fine febbraio e metà marzo. Ma le tessere del mosaico devono ancora essere sistemate ufficialmente. E qualcuno a via XX Settembre non ha nascosto di volerci vedere chiaro. Anche perché Cottarelli preme e non è escluso che una parte del tesoretto dei risparmi voglia realizzarla ai suoi tavoli della spending, anche destinandone una parte ad altre voci di spesa, non solo ad asl e ospedali. Dall'occupazione alla riduzione del debito pubblico e delle tasse.

Ipotesi non certo di scuola, che all'Economia di sicuro non sarà sfuggita. E tale deve essere stato il pressing ricevuto negli ultimi giorni, da indurre Lorenzin a chiedere rassicurazioni sul percorso che ha concordato con le regioni. E chissà se ieri qualche cenno se ne è fatto anche a margine del Consiglio dei ministri. Rassicurazioni che almeno in parte, e almeno per ora, avrebbe (in parte, appunto) ricevuto. Affidandosi, il ministro, a una considerazione: se il commissario sulla spending interviene nella partita, salta l'accordo con i governatori. E salta il «Patto». Sempreché questa considerazione, tanto più in un momento in cui le regioni non vanno per la maggiore, sia sufficiente a frenare le voglie di mettere una museruola a doppia mandata alla spesa sanitaria fuori controllo soprattutto da Roma in giù.

Insomma, la partita della spesa sanitaria s'infiamma ancora una volta. Creando altri imbarazzi a palazzo Chigi ma anche nel Pd, il maggiore azionista del Governo, dove le voglie di mettere mano al federalismo crescono di ora in ora, non solo tra i fedelissimi del neo segretario-sindaco, Matteo Renzi. E quell'aumento così vistoso del fondi al Ssn non piace a più d'uno, nonostante le crepe nell'assistenza che – sempre soprattutto da Roma in giù – in tempi di crisi stanno creando una fuga dalle cure per l'impossibilità di far fronte a ticket e a prestazioni a pagamento. Un aumento dei fondi che alla Salute spiegano in maniera scolastica: è legato all'aumento del Pil indicato dal Def, sostengono. Ma qualcuno storce la bocca: è troppo. E poi: i risparmi della spending, arrivino anche solo dal «Patto», devono per forza restare tutti nel Ssn? Non tutti a quanto pare ci stanno. Anche se la sanità è un formidabile motore di consensi, oltre che di applicazione del diritto costituzionale alle cure. Ma senza dimenticare, ribattono i fautori del maxi aumento, che dal 2015 potrebbero (il condizionale è d'obbligo) scattare i contratti del personale, fermi dal 2010, e i costi varrebbero buona parte delle cifre in più sul piatto.

Un bel puzzle finanziario per l'Economia, e politico e sindacale insieme. Il tutto mentre monta la marea anti titolo V, quel federalismo che in sanità ha lasciato mille fallimenti sul terreno. Per dire: dal 2001 al 2014 il finanziamento del Ssn è cresciuto da 71,88 a a 109,9 mld, ben 38 mld. Mentre il deficit è stato di 38,6 mld fino al 2012 col picco di 5,7 mld nel biennio berlusconiano del 2004-2005, per poi calare dopo i commissariamenti. Anche se nelle regioni commissariate il deficit è sceso solo in apparenza: tutto merito delle maxi addizionali e dei ticket. Perché a pagare sono stati come sempre i contribuenti, almeno quelli che non evadono.

Ticket, la rivoluzione col Patto: legare il pagamento ai redditi effettivi degli italiani

La pagina è ancora in bianco. Ma un titolo già c'è: «Manutenzione dei ticket». Sarebbe a oggi l'articolo 2 del «Patto per la salute» che Governo e regioni stanno contrattando. Se mai ce la faranno a condurla in porto, anche perché al capitolo copayment le incognite sono tante e insidiose. A cominciare dalla certezza di dati affidabili indispensabili per varare una novità dagli effetti insidiosi e popolari, che vanno a toccare la carne viva degli italiani, soprattutto dei più deboli, sia economicamente che per ragioni di salute quando si tratta di portatori di patologie croniche. Ma la rivoluzione, almeno negli obiettivi, ci sarebbe tutta: legare il pagamento dei ticket ai redditi effettivi degli italiani.

A farcela, appunto. Perché servono dati sicuri e verificati sull'impatto dell'eventuale cambiamento che è tutto da studiare. E che avverrebbe a costo zero: ovvero la garanzia di incassare come oggi 4 miliardi dalla compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria, non un euro di più, non uno di meno. Il tutto, con un sistema che nelle intenzioni dovrà essere più equo in rapporto alla capacità reddituale dei cittadini, anche nel caso delle esenzioni per patologia.

Nessun ritorno all'idea del pagamento a franchigia, come si era ipotizzato fino a un anno fa. Ma, anche utilizzando lo strumento del nuovo Isee ormai al decollo, far sì che anche i pensionati con una certa soglia di reddito, non siano più totalmente esentati. Cosa che invece non capita magari a lavoratori – e perfino ai disoccupati – con redditi molto bassi. Non tutti i malati cronici sempre e comunque esenti insomma e nessuna esenzione generalizzata. Il reddito reale sarebbe la cartina di tornasole. Spalmando il pagamento dei ticket in modo da avvantaggiare i meno abbienti.

Ma appunto, servono garanzie, cifre sicure, da tutte le regioni. Come c'è da dubitare. Per questo la necessità di perlustrare tutte le banche dati disponibili, verificare i consumi di salute locali, per categoria, per età, per frequenza. Quella base di dati, insomma, necessaria per dare gambe e sostanza reali all'ipotesi di riforma, pena il flop del meccanismo.
Per questo, e sono solo sui ticket, i tecnici vanno con i piedi di piombo. Anche se una risposta dovrà essere data in tempi anche brevi. Come brevi, col «Patto» (e con la spending di Cottarelli), saranno i tempi per trovare le altre fonti di risparmio sulla spesa sanitaria. Che sono un lungo elenco: gli ospedali, col taglio dei posti letto e l'addio a quasi cento ospedaletti con meno di 70-80 letti; le mitiche cure sul territorio. E poi le partite sempre aperte su farmaci e dispositivi medici. Ma altri risparmi si vorrebbero innescare con l'e-ealth. E con le gare centralizzate per gli acquisti restituendo più peso al ruolo della Consip. Per non dire dei costi standard, perfino della lotta alla corruzione, capitolo ai tavoli di Cottarelli ma chissà se anche del «Patto».

Spesso partite d'annata, promesse tradite. Che ora dovranno ripartire. Ma per risparmiare quanto? Lorenzin ha dato nel tempo cifre diverse, fino a 12 mld in tre anni. Forse si accontenterebbe anche di meno. Purché restino in casa Ssn.