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La spending dei desideri tra flop e tagli impossibili

di Ettore Jorio

È già iniziato il dopo Cottarelli. Un esito atteso che, considerata la quasi inutilità del percorso di spending review iniziato nel 2009, proseguito con Enrico Bondi e terminato con Claudio Cottarelli, è servito a fare tanto rumore, tanti tagli lineari e pochi chirurgici.
La veridicità di una tale diagnosi sta nella soluzione di oggi, del 3% generalizzato, che costituisce tuttavia un taglio semi-lineare, responsabilizzando i singoli ministeri a tosare le loro piume.
In un gioco simile rientrano, ovviamente, la finanza locale e la sanità, con la messa in crisi evidente dei due sistemi, non già perché diffusamente senza risorse adeguate, bensì perché necessitano di riforme strutturali solo che si voglia, nel tempo, spendere meno e meglio.
Questo è il reale problema che il Governo deve affrontare, al di là di tutte le cose delle quali si sta occupando. Ma davvero.
Dalla corretta osservazione su ciò che accade nei Comuni e nelle Regioni emerge una situazione di forte disagio economico-finanziario, quasi di default, specie in quelli del Mezzogiorno: debiti fuori bilancio prodotti e ancora non riconosciuti; contenziosi tanto ingenti da "ipotecare" le riserve auree; residui attivi lasciati lì per garantire riscossioni che non ci saranno mai; una spesa corrente piena di "vizi" e di eccessiva discrezionalità; costi della politica spesso intoccabili; predissesti che diventeranno, di qui a poco, default veri e propri. Questa è la fotografia dell'esistente soprattutto municipale e, quindi, rappresentano i sintomi della patologia cui occorre dare rimedio immediato.
A tutto questo vanno ad aggiungersi gli adempimenti fissati dal fiscal compact e quelli non ancora presi in considerazione dal legislatore ordinario, nazionale e regionale, riferibili al sesto comma, secondo periodo, del novellato art. 119 della Costituzione. Mi riferisco a quell'obbligo di conseguire regionalmente l'equilibrio per fare sì che un ente territoriale (Comune e Regione) possa procedere all'investimento produttivo, senza il quale è la desertificazione dei servizi pubblici.
Il nodo dei tagli in sanità. Quanto alla Sanità il discorso cambia (ma non troppo, con i piani di rientro che sarebbero tutti da valutare nei loro esiti reali, ove mai conseguiti con un blocco del turnover che ha penalizzato la portata dei servizi), perché costituisce il settore che, oramai da trent'anni, assorbe finanze straordinarie, soprattutto derivanti da interventi extra fondo sanitario nazionale, nel senso che necessita di risorse compensative dei "buchi" via via generati.
Questo è un problema che non affligge solo e soltanto il Mezzogiorno ma quasi tutto il sistema Salute, atteso che le Regioni che sono state e sono in piano di rientro hanno compreso e comprendono, rispettivamente, il Veneto e la Liguria nonché il Piemonte, oltre alle solite Lazio, Campania, Sicilia, Calabria, Puglia, Abruzzo e Molise. Queste ultime rappresentative di oltre la metà degli abitanti del Paese.
Ma davvero si può pensare di tagliare indiscriminatamente la sanità, specie nelle parti del Paese nelle quali si fa fatica a credere all'esistenza dei Lea? Per una sanità migliore occorre un intervento strutturale di tipo chirurgico, di quelli che trasformano, e non solo sotto il profilo estetico, il mostro in una bellissima donna. Un soggetto che sappia affascinare chi ci lavora, chi è preposto alla sua gestione, ma che sappia dare agli utenti, arricchiti dalle centinaia di migliaia di immigrati (peraltro in forte crescita), ciò che la Costituzione sancisce: la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività da garantire su tutto il territorio nazionale.
Come ci si arriva? Forse che supponendo di mantenere l'attuale sistema aziendalistico, governato dalla politica e utilizzato per rintracciare il consenso attraverso scelte di manager cui negli altri Paesi europei non affiderebbero un condominio?
Per una sanità migliore occorre riformarla strutturalmente, magari "agenzificandola" in un sistema gestito da manager pubblici nell'interesse dei cittadini della Repubblica e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario.