Commenti

Proteggere la vita è una responsabilità condivisa

di Luca De Fiore, Laura Amato, Mariangela Taricco LiberatiMarina Davoli, Paola Mosconi, Elena Parmelli, Roberto D'Amico, Lorenzo Moja (Associazione Alessandro Liberati)

«Siamo medici e scienziati, passiamo la vita curando e proteggendo la salute e la vita umana. Siamo anche persone informate; insegniamo l'etica della nostra professione, insieme ai saperi e alle competenze con cui queste conoscenze vengono messe in pratica».
E' questa la premessa che ha motivato Paola Manduca, Iain Chalmers, Derek Summerfield, Mads Gilbert e Swee Ang a scrivere – in nome e per conto anche di altri clinici e ricercatori - una lettera aperta a The Lancet per denunciare quella che viene definita «l'aggressione di Israele a Gaza». Più correttamente, dovremmo dire alla popolazione di Gaza, alle abitazioni, alle scuole e persino agli ospedali e agli ambulatori dove quotidianamente sono curati bambini, anziani e adulti vittime della violenza. Con la lettera aperta, i firmatari invitano i colleghi ad attivarsi per denunciare l'azione distruttiva, ribellandosi alle motivazioni propagandistiche di chi giustifica il proprio operato con l'inaccettabile pretesto di voler combattere la resistenza di un nemico armato.

La prima firma della lettera al Lancet è italiana. Così come è italiana la gran parte delle altre firme che seguono le prime cinque. Ciò contrasta con il silenzio delle istituzioni sanitarie nazionali, delle società scientifiche, delle università. Tra le poche eccezioni, quella della Associazione Italiana di Epidemiologia la cui Presidente, Paola Michelozzi, si è rivolta - personalmente e a nome della Associazione - al direttore del Lancet, Richard Horton, per esprimere appoggio e riconoscenza.
Il coraggio di Horton è esemplare, così come la sua testarda dedizione nel riproporre le ragioni del dialogo ("The more we offer a space for dialogue, the more opportunity we have for reaching a peaceful and just resolution."), dell'attenzione per i più deboli ("The very first thing that hits you about Gaza is that this is a land of children. Children everywhere. Playing. Going to school. Families.") e l'importanza del rispetto ("This may surprise some. But Gazans care about the same things as you and I—families, friendships, livelihoods. Please stop killing them.").

Il continuo arrivo di tragiche notizie e la mancanza di riscontro di proposte di mediazione nonché il ragionevole timore che i fatti di guerra e le sue vittime si ripetano senza sosta, sollecitano una nostra presa di una posizione. Ci associamo a chi chiede che l'aggressione e l'invasione di Gaza siano immediatamente fermate e venga cominciata un azione di dialogo politico, avendo cura che le vittime del conflitto possano ricevere cure e supporto. Pensiamo che chi è quotidianamente impegnato per migliorare la qualità delle cure e della ricerca in ambito sanitario debba condividere la responsabilità di proteggere la vita, anche se questa si manifesta 'solamente' in una presa di posizione.